La politica, era questa la sua passione, una passione civile. Questa era la sua vera malattia, una malattia vitale che gli procurò più problemi che vantaggi. Enzo Carra è stato un bravo giornalista e un politico perbene. Il ricordo di Andrea Cangini
Sono passati pochi giorni dal nostro ultimo pranzo: era allegro e curioso come al solito. Trattava la malattia con indifferenza. Lui non ne parlava, gli amici non chiedevano. Al massimo qualche fugace accenno, ma sempre in positivo. Un sorriso e via. Via a parlare. Di cosa? Di politica, naturalmente. Perché era questa la sua passione, una passione civile. Questa era la sua vera malattia, una malattia vitale che gli procurò più problemi che vantaggi.
Enzo Carra è stato un bravo giornalista e un politico perbene. La sua immagine pubblica fu irrimediabilmente macchiata dalla gogna mediatica cui venne sottoposto ai tempi, furiosi, di Mani Pulite. L’arresto il 4 marzo del ‘93. Era il capo dell’ufficio stampa della Democrazia cristiana e, in quanto tale, secondo il noto e selettivo teorema, “non poteva non sapere” delle tangenti. La foto di lui con gli schivettoni ai polsi fu un’infamia. Ma fu un’infamia allestita come un set cinematografico. Umiliarne uno per terrorizzare cento e indurli a confermare ogni congettura dell’accusa: era questa, allora, la logica per così dire giudiziaria. Una logica in evidente contrasto con i presupposti minimi di uno Stato di diritto.
Seguirono anni di processi, di lettere minatorie, di scritte a vernice ogni mattina sulla macchina sotto casa: “I ladri devono finire in galera”. Enzo ha parlato di recentemente al Foglio, e l’ha fatto con la consueta ironia: “Oltre all’avvocato, anche il carrozziere ho pagato”.
Enzo Carra mantenne il buon umore e la curiosità allora, come li mantenne nei mesi di convivenza con la malattia. E anche in questo è stato un esempio di vita per chi l’ha conosciuto e ha avuto la fortuna di essergli amico.