De Palma (Nursing Up): «Una drammatica inadeguatezza degli organici infermieristici, che si aggrava ogni giorno di più, tanto da delineare un gap profondo con le altre nazioni del Vecchio Continente».
E come se non bastasse retribuzioni decisamente inferiori rispetto alla maggior parte degli altri colleghi europei, che non sono certo commisurate all’enorme competenza di una professione che, paradossalmente, trova sempre più collocazione in contesti sanitari di altre nazioni, dal momento che una condizione di disagio profondo sfocia in fughe legittime, verso realtà che offrono riconoscimenti economici degni di tal nome, crescita professionale, possibilità di scatti di carriera, formazione interna.
La triste realtà
a cui facciamo riferimento, è quella di un sistema sanitario italiano profondamente malato, che “soffre le pene dell’inferno” anche e soprattutto perché vive una situazione di profondo disagio e di una crescita a rilento legate a un finanziamento pubblico che si ferma al 75,6% della spesa, giudicato da più parti come insufficiente e non in linea con le necessità di pazienti e operatori sanitari, ed aprendo la strada ad un profondo gap rispetto alla media Ue che si assesta all’82,9%.
Sono questi i contenuti a dir poco inquietanti
del Rapporto Crea Sanità 2023, che in particolare, nell’evidenziare la situazione economico-contrattuale degli infermieri, quella che più ci riguarda da vicino, assume i contorni di un incubo, di un brutto sogno dal quale vorremmo svegliarci prima possibile.
Di fronte a questa desolante realtà
non possiamo nemmeno rimanere più di tanto basiti, dal momento che il lavoro come sempre egregio di questi ricercatori non fa altro che avvalorare, tristemente, i quelle denunce che da mesi il nostro sindacato porta avanti.
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
Non ci sorprende il leggere
che alla sanità italiana manca all’appello un ulteriore finanziamento di 50 milioni di euro per avere un’incidenza media sul PIL analoga agli altri paesi dell’Ue.
Scavando nel profondo
andiamo a scontrarci con dati che non sono più preoccupanti e allarmanti di come lo erano già qualche anno fa, denunciati a gran voce nei nostri comunicati stampa, ma adesso sono diventati l’anticamera di quello che sembra l’orlo di un abisso.
Appena qualche giorno fa
nell’evidenziare l’assurda disparità nelle retribuzioni tra i medici e le altre professioni sanitarie del comparto, sollevavamo il retorico interrogativo relativo alla mancanza di camici bianchi.
Ebbene il Rapporto Crea
sulla medesima scia dei dati Ocse, mette in luce che, in termini di numero di medici che praticano attivamente la professione, il nostro Paese, secondo anche i dati OECD, è in cima alle graduatorie europee: nel 2018 operano in Italia 4,06 medici per 1.000 abitanti contro 3,17 in Francia ed i 2,84 nel Regno Unito.
La Spagna ha un valore
simile all’Italia (4,0), mentre in Germania si registrano 4,3 medici per 1.000 abitanti. Ben diverso il caso del personale infermieristico attivo, per il quale nel nostro Paese si registra un tasso di gran lunga inferiore alla media europea.
Nel 2018 in Italia
operavano 5,5 infermieri per 1.000 abitanti contro i 7,8 del Regno Unito, i 10,8 della Francia ed i 13,2 della Germania. Solo la Spagna si attestava a un tasso simile al nostro, pari a 5,8 ogni 1.000 abitanti.
Nel 2022 i dati Ocse
segnano un flebile passo in avanti del nostro Paese a 6,2 infermieri ogni 1.000 abitanti, ma nel frattempo anche gli altri Paesi sono cresciuti, vedi Regno Unito salito a 8.2. Rimane quindi inalterato il nostro gap di 2 punti rispetto alla media.
Un gap ovviamente profondo
che finisce con l’aggravare una carenza infermieristica che va vista nella prospettiva di un indispensabile adeguamento, da mettere in atto in tempi brevi, con gli standard degli altri paesi europei.
La carenza di infermieri
in tale ottica è anche più grave rispetto ai dati delle 65-80 mila unità con cui strutturalmente parlando siamo alle prese: e non è una esagerazione affermare che supera le 250mila unità rispetto ai parametri EU e, comunque, solo per il nuovo modello disegnato dal Pnrr ne servirebbero 40-80mila in più, per coprire le esigenze legate alla indispensabile ricostruzione della sanità di prossimità, in merito alla quale, visto “l’andazzo”, tremiamo al solo pensiero che le ingenti risorse a disposizione possano andare in fumo e andare così sprecate, continua De Palma.
C’è di più
nel caso dell’Italia, visto che la carenza di infermieri è destinata ad allargarsi oltre il numero di 320.000, usando come riferimento la popolazione over 75, la più bisognosa di assistenza.
È chiaro che in un Paese come il nostro
proiettato verso l’inesorabile invecchiamento, il fabbisogno di operatori sanitari legato alle necessità dei soggetti fragili, afflitti da tante potenziali patologie, aumenta in modo vertiginoso.
E non è finita
perché se paghiamo dazio per quanto concerne la solidità economica di quello che somiglia sempre di più ad un fragilissimo castello di sabbia, siamo sempre più alle prese con una voragine di professionisti mai sanata alla radice.
Il dramma si consuma a monte
perché mancano risorse per affrontare questi problemi e che, di fatto, non vengono previste.
Ed ecco che allora gli infermieri
sempre loro, sono tra i meno pagati d’Europa, il Rapporto Crea non poteva che ribadirlo.
La retribuzione degli infermieri italiani
assume il contorno nebuloso del 40% in meno della media di quelle dei paesi europei, nonostante l’enorme mole di lavoro a cui sono sottoposti i nostri professionisti e che con la pandemia è chiaramente sotto gli occhi di tutti; pochi posti messi a bando nelle università per la laurea in infermieristica rispetto alla quale l’Italia è nella basse posizioni nella classifica dei Paesi OCSE e uno sviluppo di carriera limitato.
Verrebbe da dire che
siamo finiti nelle sabbie mobili , dice ancora De Palma: carenza di infermieri, retribuzioni ai minimi storici e un sistema che si regge a mala pena in piedi dal momento che mancano risorse a sufficienza.
Ma piuttosto che limitarci
con rassegnazione alla triste analisi dei fatti, non possiamo che dar enfasi al nostro malcontento.
Un report di questo genere
che ci fa drizzare letteralmente i capelli, deve scuotere le coscienze di tutti, chiosa De Palma, nessuno escluso.
O ci rimbocchiamo le maniche adesso
o saremo protagonisti, tutti, di uno “sprofondamento nella palude” di una sanità che di questo passo non potrà garantire ai cittadini, ai nostri figli, e in particolare ai soggetti fragili, agli anziani, ai malati cronici, quegli standard di qualità che sono indispensabili in un Paese civile, e costringendo gli operatori sanitari ad annaspare, in modo “donchisciottesco”, lottando contro i mulini a vento».
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