Roma, 22 gen – In questi giorni dopo la cattura del boss Matteo Messina Denaro si è tornato a parlare di mafia. Oggi sappiamo tutto di covi e cartelle cliniche che riguardano l’ultimo padrino. Poco si parla, però, del giro d’affari di mafia Spa. Con quest’ultimo termine intendiamo il ricavato delle attività illegali ascrivibili a Cosa Nostra, Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, Mafia nigeriana, organizzazioni criminali provenienti dall’Est Europa.
Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre le organizzazioni mafiose possono contare su un volume d’affari pari annuo stimato (per difetto) in 40 miliardi di euro ossia il 2% del Pil nazionale. Una montagna di denaro che è inferiore solo al fatturato di GSE (Gestore dei Servizi Energetici), di Eni e di Enel. Tanti soldi che “integrano” il nostro Pil. Vediamo perché.
L’economia illegale dentro il Pil
Gli artigiani mestrini sottolineano come se a parole tutti siamo contro le mafie, nelle azioni concrete non sempre è così. La Cgia punta il dito contro il Regolamento UE n° 549/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013. Con questo provvedimento dal 2014, l’Unione Europea, consente a tutti i paesi membri di conteggiare nel Pil alcune attività economiche illegali: come la prostituzione, il traffico di stupefacenti e il contrabbando di sigarette.
I ricavi di mafia Spa non fanno altro che dopare i nostri conti in maniera quantomeno discutibile. Ad esempio nel 2020 abbiamo gonfiato la nostra ricchezza nazionale di 17,4 miliardi di euro (quasi un punto di Pil).
Il provvedimento dell’Ue ci porta ad un inaccettabile paradosso. Da un lato si investono tante risorse per combattere la mafia dall’altro si riconosce alla criminalità organizzata (seppur a livello statistico) un ruolo attivo di “portatore di benessere economico”. Fatta questa premessa vediamo ora come la piovra muove i suoi tentacoli nel territorio nazionale.
Mafia Spa tra spesa pubblica e corruzione
Come ci insegnava Giovanni Falcone per combattere la criminalità organizzata bisogna colpirla nei propri interessi economici. Il terreno fertile per le organizzazioni criminali è rappresentato dal combinato disposto tra spesa pubblica e corruzione nella Pa. Gli appalti sono sempre stati una manna dei boss. Riuscire a penetrare il sistema era piuttosto semplice grazie alla complicità di cittadini incensurati che di fatto erano legati con la mafia. Parliamo non solo di amministratori locali ma anche di professionisti che hanno regalato gli appalti più succulenti alle organizzazioni criminali.
Non ci sono, però, solo gli appalti per misurare la penetrazione della mafia in un territorio. Induttivamente è possibile riconoscere un’area geografica più a rischio di un’altra, anche dal riscontro di una elevata presenza di reati spia. Nei territori dove il numero di denunce all’autorità giudiziaria per estorsione/racket, usura, contraffazione, lavoro nero, gestione illecita del ciclo dei rifiuti, scommesse clandestine, gioco d’azzardo, etc. è molto alto, la probabilità che vi sia una presenza radicata e diffusa di una o più organizzazioni criminali di stampo mafioso è molto elevata.
Quali sono le aree più a rischio?
Storicamente il Mezzogiorno è un’area più sensibile all’infiltrazione negli appalti da parte della mafia. Anche se bisogna ammettere che i tentacoli delle organizzazioni criminali da tempo si sono spostati a Nord. La pubblica amministrazione anche nelle regioni settentrionali si lascia facilmente conquistare dalla grande liquidità di cui dispongono i boss. Nessuno, dunque, può dirsi al sicuro.
Quanto detto è confermato dalle ricerche di Banca d’Italia (a cui copiosamente attinge lo studio della Cgia). La penetrazione territoriale della Mafia Spa non riguarda solo il Mezzogiorno. Purtroppo presentano un indice di presenza mafiosa molto preoccupante anche realtà del Centro-Nord, in particolar modo le province di Roma, Latina, Genova, Imperia e Ravenna.
Meno colpite delle precedenti, ma comunque con forti criticità si segnalano, sempre nella ripartizione centrosettentrionale, anche le provincie di Torino, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Varese, Milano, Lodi, Brescia, Savona, La Spezia, Bologna, Ferrara, Rimini, Pistoia, Prato, Firenze, Livorno, Arezzo, Viterbo, Ancona e Macerata.
Meno investite da questo triste fenomeno sarebbero, invece, le province del Triveneto (con leggeri segnali in controtendenza a Venezia, Padova, Trento e, in particolar modo, Trieste). Anche la Valle d’Aosta e l’Umbria presentano un livello di rischio molto basso. Nel Mezzogiorno, infine, secondo i ricercatori di via Nazionale gli unici territori completamente “immuni” dalla presenza del fenomeno mafioso sarebbero le province di Matera, Chieti, Campobasso e le realtà sarde di Olbia-Tempio, Sassari e Oristano.
Il ruolo del sommerso
Tornando allo studio della Cgia dobbiamo considerare che oltre all’economia illecita c’è anche il sommerso. Oltre ai 17,4 miliardi di euro “prodotti” dalle attività illegali (attraverso il traffico di droga, contrabbando di sigarette e prostituzione), il nostro Pil nazionale “assorbe” altri 157 miliardi di euro: di cui 79,7 sono “nascosti” dalla sottodichiarazione, 62,4 miliardi dal lavoro irregolare e 15,2 miliardi dalla voce Altro (ovvero, mance, affitti in nero, etc.).
I 174,4 miliardi di euro complessivi (17,4 più 157), compongono la cosiddetta economia non osservata che è interamente conteggiata nel nostro Pil nazionale. Ancorché non sia possibile quantificarne la dimensione, è evidente che anche una parte importante di questo stock (157 miliardi) sia riconducibile alle organizzazioni criminali di stampo mafioso, a dimostrazione che i 40 miliardi di volume d’affari richiamati all’inizio di questo documento addebitati a Mafia Spa sono, purtroppo, sottostimati.
Non basta, dunque, la cattura di un boss per indebolire un sistema che riesce a drenare tutte queste risorse economiche. Sempre seguendo la scia che lasciano i soldi c’è tanto da indagare per scoprire dove si cela il malaffare della criminalità organizzata nella nostra nazione.
Salvatore Recupero
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