Roma, 13 feb – I dati non mentono mai. Il primo ci dice che alle elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia, il centrodestra ha vinto a mani basse, mentre la sinistra è pressoché scomparsa dai radar, come ampiamente previsto. Il secondo, sconfortante per tutti i partiti, ci conferma una tendenza a cui assistiamo ormai da anni e che stavolta ha superato qualunque previsione: l’astensionismo record. L’affluenza è difatti crollata in entrambe le regioni, con una media del 39,81%: il 37,20% in Lazio e il 41,61% in Lombardia. Il dato lombardo, quasi per paradosso, risulta però ancora più scioccante: è il più basso in 53 anni. L’affluenza più bassa fino ad ora si era registrata nel 2010, quando in Lombardia aveva votato il 71,9% degli aventi diritto. Mentre nel 2018 ai seggi in Lazio si era recato il 66,55% degli aventi diritto, in Lombardia il 73,81%.

Tutte le (ovvie) cause dell’astensionismo record

Tramonto delle ideologie, americanizzazione della società, individualismo dilagante, disincanto generalizzato tra i giovani, distacco dalla realtà, promesse disattese, corruzione, assenza di leader carismatici, vuoto programmatico e chi più ne ha, più ne metta. Nel novero delle cause che determinano l’irrefrenabile astensionismo – e che alle Regionali di Lazio e Lombardia ha toccato picchi storici – c’è di tutto. Un elenco infinito già ampiamente citato e analizzato, non sempre con acume, da sociologi e scienziati politici, spesso obnubilati dalle proprie appartenenze politiche. Fiumi di inchiostro sprecati insomma, con l’obiettivo di inquadrare il problema e di conseguenza affrontarlo come si deve. Colpi sparati a vuoto, tanta fatica per nulla.

In fondo, non è neppure detto che all’attuale classe politica interessi davvero aumentare l’affluenza, d’altronde la matematica non è un’opinione e anche se votassero appena tre elettori basterebbero due voti ottenuti per vincere. Ma se è vero che la matematica non è un’opinione, è pur sempre l’opinione a incidere nella percezione di chi è chiamato a scegliere i propri rappresentanti politici. Ecco, almeno quella chiedono gli elettori. In assenza di una più seria, complessa e auspicabile visione del mondo, lungi da intravedersi nel centrodestra come nel centrosinistra.

Se poi i candidati non piacciono e le differenze tra loro sono percepite come insignificanti, il gioco si fa ancora più duro per chi va a caccia di voti. In tutto questo a destra si esulterà per la vittoria senza troppo preoccuparsi dell’emorragia generale di consensi e a sinistra si tenteranno assurde giustificazioni, con un classico refrain: sono rimasti a casa i nostri elettori, perché eravamo divisi e quindi non hanno creduto in noi. Litanie utili soltanto ad alimentare profondi sbadigli tra gli italiani. Giriamola allora con semplice – eppur sacrosanta – vox populi: meno chiacchiere, più fatti.

Eugenio Palazzini

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