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La solitudine di Kanye West, scaricato dagli sponsor

Bufera e fuga da Ye, travolto dalle polemiche per le ripetute uscite antisemite. Nelle ultime ore continua ad allungarsi l’elenco di aziende, vip e manager che stanno prendendo le distanze dal fu Kanye West. Il rapper e stilista è da mesi sulla ribalta per una serie di affermazioni antisemite che, oltre a far scattare il blocco dei suoi account Twitter, Facebook e Instagram, hanno scatenato proteste e prese di posizioni in aperta polemica con le sue convinzioni.

La conseguenza diretta è che molte società hanno deciso di chiudere le collaborazioni con l’artista: l’ha fatto Adidas, come Gap, Balenciaca, Creative Artists Agency, Foot Locker, Vogue e Anna Wintour.

Il percorso di autodistruzione di Ye è iniziato da tempo, per alcuni analisti quando si è candidato alle elezioni presidenziali Usa del 2020, periodo che si ricorda più per i suoi sproloqui che per i voti raccolti (circa 60mila consensi totali, pari allo 0,4%). L’attacco a Harriet Rubman, nota come la Mosè degli afroamericani per aver combattuto contro l’abolizione della schiavitù e il suffragio femminile nel XIX secolo, è stato uno dei suoi punti più bassi. Negli ultimi mesi, tuttavia, Ye ha moltiplicato i commenti offensivi verso ebrei e alcuni manager delle aziende partner, fregandosene delle inevitabili conseguenze.

Il successo come artista da 24 Grammy e più di 160 milioni di dischi venduti, come pure quello da fashion designer in grado di disegnare capi molto gettonati, si è bruciato in breve tempo, insieme a tweet al veleno che hanno riportato alla mente il disturbo bipolare rivelato pubblicamente lo scorso anno.

La separazione da Kim Kardashian (i cui legami sono ora limitati alla partecipazione del 5% del marchio Skims, creato nel 2019 dall’ex moglie) sembra aver accelerato la deriva del rapper, caratterizzata dal cambio di nome in Ye, che è anche il titolo dell’album rilasciato dall’artista nel 2018.

“È ora che faccia tutto da solo. Ho fatto guadagnare tanti soldi alle aziende e loro lo hanno fatto guadagnare a me. Abbiamo creato delle idee che cambieranno l’abbigliamento per sempre ma ora è il momento di creare una nuova industria. Non ci saranno più aziende che andranno a frapporsi tra me e il pubblico”.

Rileggendo ora le parole rilasciate nelle scorse settimane a Bloomberg si possono intuire le mire dell’uomo, anche se i comportamenti sui social media e nella vita reale non sembrano delineare i migliori presupposti per un futuro prosperoso. Che a questo punto non è chiaro se passerà anche dall’acquisizione di Parler.

Dopo che JP Morgan Chase ha tagliato i rapporti con Ye, invitandolo a trovare un altro conto (la decisione è stata comunicata prima dei commenti antisemiti), è arrivato lo stop di Gap, voluto dallo stesso Kanye West. Che ha accusato l’azienda di non rispettare le condizioni dell’accordo, a partire dalla mancata apertura di negozi per il suo marchio Yeezy e dall’atteso ma non concesso posto nel consiglio di amministrazione di Gap.

Invischiata in rivoluzioni interne, accentuate dal licenziamento dell’amministratore delegato arrivato durante l’ultima estate, Gap non ha mai risposto alle accuse di Ye, secondo cui il gruppo avrebbe copiato i suoi modelli, ma ha definito la partnership con l’autore di Flashing Lights “non allineata”.

L’ultimo affronto orchestrato da Ye alla Parigi Fashion Week, quando ha scatenato l’indignazione generale presentandosi con una maglia griffata con lo slogan White Lives Matter (il motto dei suprematisti in contrapposizione al Black Lives Matter del movimento per i diritti civili degli afroamericani), gli è costata la collaborazione con Balenciaga. “Non abbiamo più alcun rapporto né piani per futuri progetti legati a Ye”, ha dichiarato la maison francese in un comunicato all’indomani della pubblicazione dei risultati del terzo trimestre dell’anno.

“Non tolleriamo alcuna forma di antisemitismo o di comportamento odioso e discriminatorio”, è il messaggio con cui Foot Locker ha deciso di porre fine all’accordo con Ye. Una scelta controproducente dal lato tecnico e finanziario, poiché gli 874 negozi del brand contano su un vasto assortimento di prodotti Yeezy. Ma l’obbligo di salvaguardare i valori e l’immagine cozzano con quanto dichiarato ripetutamente da Ye, per questo l’azienda ha ordinato agli addetti ai lavori di ritirare dagli scaffali e dalle vetrine online tutti i prodotti legati allo stilista di Atlanta.

Anche l’agenzia di talenti e sportivi Creative Artists Agency ha deciso di abbandonare Ye, come alcune stelle NBA e NFL (nello specifico Jaylen Brown dei Boston Celtics e Aaron Donald dei Los Angeles Rams hanno lasciato l’agenzia Donda Sports, fondata da Kanye West). E ancora la MRC Entertainment ha comunicato nelle scorse ore di aver cancellato un documentario sull’artista, completato di recente, perché la casa di produzione “non può sostenere chi diffonde frasi antisemite”, mentre la serie tv The Shop ha scelto di non mandare in onda una puntata in cui compariva il designer.

Il colpo più pesante per Ye è però quello inflitto da Adidas, che ha chiuso una partnership che assicurava al rapper circa 1,5 miliardi di dollari. Invitata a più riprese a muoversi da un ampio numero di clienti e fan, il marchio tedesco ha preso tempo per poi sciogliere le riserve dopo la maglia con lo slogan White Lives Matter alla sfilata parigina di Yeezy, linea d’abbigliamento di proprietà della multinazionale bavarese.

“Adidas non tollera l’antisemitismo e qualsiasi altro tipo di discorso di odio. I recenti commenti e le azioni di Ye sono stati inaccettabili, odiosi e pericolosi e violano i valori aziendali di diversità e inclusione, rispetto reciproco e correttezza”. Per questo la società ha intimato lo stop alla produzione di prodotto a marchio Yeezy, anche se prevede “un impatto negativo a breve termine fino a 250 milioni di euro sull’utile netto dell’azienda nel 2022, data l’alta stagionalità del quarto trimestre”. Come a dire che la credibilità dell’azienda viene prima dei ricavi, anche a costo di rimetterci parecchio denaro.

Gli analisti stimano l’impatto di Yeezy in circa 2 miliardi di dollari all’anno, pari all’8% del fatturato annuale di Adidas. Si tratta di “uno degli abbinamenti di maggior successo nella storia del nostro settore”, ha specificato la compagnia tedesca, che ha avviato la collaborazione con Kanye West nel 2013, dopo che le collezioni Yeezy erano state disegnate per Nike a partire dal 2009. Sull’onda del successo delle intuizioni del rapper, Adidas è riuscita a incrementare significativamente la propria quota nel mercato nord-americano, tanto da trasferire centinaia di dipendenti dalla Germania agli Usa. Oltre a concludere altri accordi con atleti, designer e celebrità statunitense, grazie alla via aperta da West.

Se con la fine dell’accordo il brand con sede a Herzogenaurach ci rimetterà un bel po’ di soldi, molto peggio appare il destino che attende Ye, che intanto per Forbes è fuori dall’elenco dei miliardari, con un patrimonio attuale stimato in 900 milioni di dollari e rappresentato ora da immobili, liquidità e catalogo musicale.

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