Da anni, da quando ha iniziato la sua battaglia contro la “mafia dei pascoli”, la vita di Giuseppe Antoci e della sua famiglia è scandita dalla presenza continua della scorta, innalzata fino al massimo livello anche a fronte delle nuove minacce di morte ricevute nel dicembre scorso. La stessa scorta che lo ha salvato dall’attentato nella notte fra il 17 e il 18 maggio 2016 a Santo Stefano di Camastra e che, questa mattina, ha seguito passo passo – coadiuvata dal personale della Questura della Spezia – prima, durante e dopo il suo intervento al Parentucelli Arzelà di Sarzana dove ha incontrato studenti, docenti, il preside Generoso Cardinale, il vicario del questore Carmine Ingrosso, il dirigente del commissariato cittadino Annamaria Ciccariello e l’amico Massimo Caleo. Ancor più significativo è stato però l’abbraccio con Daniele Manganaro – oggi dirigente del commissariato di Carrara – che quella notte, anziché rientrare subito a casa, contribuì a sventare l’agguato, seguendo per puro istinto l’auto sulla quale viaggiavano l’ex presidente del Parco dei Nebrodi e la sua scorta. “La sera in cui dissi alle mie figlie che rischiavo la vita loro rimasero in silenzio – ha ricordato Antoci – e io passai la notte senza chiudere occhio pensando ai loro sguardi smarriti. È stata l’unica occasione in questi otto anni e mezzo in cui ho pensato di aver rovinato una famiglia, ma la mattina dopo la mia figlia maggiore mi chiamò a casa e mi disse “non ti fermare, ci siamo noi con te”. Frase ripetuta anche dopo l’attentato durante il quale, nel momento in cui sentii aprire la portiera dell’auto, pensai che fosse arrivato il mio momento e invece c’era Manganaro che mi stava salvando insieme agli altri ragazzi”.