Dopo il successo dei «Grandi Italiani», il Primato Nazionale inaugura con il nuovo anno «Gli Imperdonabili». E cioè gli intellettuali fuori dagli schemi, i maledetti, i proscritti. Quelli che non possono essere perdonati, pietre miliari di una visione del mondo che deve eternamente essere alimentata. Come per i Grandi Italiani, anche la collana degli Imperdonabili avrà un formato agile, veloce, non accademico. Ogni libretto, un proiettile, una vitamina per lo spirito, una risorsa per la controffensiva metapolitica. Si inizia quindi questo mese con il volume su Ezra Pound, scritto da Adriano Scianca. Pound, il più grande poeta del Novecento, è uno che il sistema non ha davvero perdonato, condannandolo alla «gabbia pisana», prima, e al manicomio criminale, poi. Ma che ha ancora molto da dirci. Qui vi proponiamo in anteprima la presentazione del volume, scritta dal caporedattore del Primato Valerio Benedetti. [IPN]

La presentazione del primo quaderno della collana «Gli Imperdonabili» è stata pubblicata sul Primato Nazionale di gennaio 2022

«Quando un banchiere o un professore afferma che un Paese non può fare questo o quello perché manca il denaro, dice una menzogna vile e stupida quanto sarebbe il dire che non si possono costruire le strade perché mancano i chilometri». Questa celebre sentenza fu scritta da Ezra Pound in Abc dell’economia, del 1939. In realtà era una citazione ma, aggiungeva, «è troppo bella perché non sia messa in circolazione». Accusato per decenni di essere un dilettante o un folle, il poeta dei Cantos aveva invece capito l’essenziale molto prima degli economisti di corte e d’accademia. Aveva capito, cioè, che il denaro è una convenzione sociale fondata sulla fiducia. Come è divenuto evidente, infine, con le cosiddette monete fiat, ossia le valute che usiamo ancora oggi.

Ma perché Pound si era messo in testa di studiare l’economia, materia certamente inusuale – se non addirittura ostica – per un poeta? Il motivo è semplice. Il profeta di Hailey era sì letterato, ma un letterato totalmente immerso nel suo tempo. E per capire le società capitalistiche di inizio Novecento, era necessario avere dei rudimenti di politica economica. È così che Pound riesce a individuare il vero nemico della civiltà europea: l’Usura. Esatto, scritto con la maiuscola, come fosse una divinità personificata. Per Pound, l’Usura non è semplicemente il prestito di denaro a interessi esorbitanti, ma un vero sistema per uccidere i popoli. Un sistema malato in cui il lavoro diventa merce, «nessuno ha una solida casa di pietra squadrata e liscia», l’amore e l’arte non possono fiorire, la civiltà muore.

Il volume su Ezra Pound può essere acquistato anche online, sia in versione cartacea che digitale (clicca QUI)

Insomma, la produzione poetica e saggistica di Pound si fa sempre più politica, sempre più militante. Ed è senz’altro una grande poesia. Difficile ma sublime. Una poesia che sa farsi Odissea, come si addice all’Omero del Novecento: nei suoi Cantos, Dante si incontra con Confucio, l’Occidente riabbraccia l’Oriente. Come dirà Ernest Hemingway, «il meglio della scrittura di Pound, che è nei Cantos, durerà finché esisterà la letteratura».

Al contrario del suo connazionale, però, Ezra sceglie di schierarsi dall’altra parte della barricata. Si può sofisticare quanto si vuole, parlare di abbagli e autofraintendimenti, ma Pound fu coscientemente e fieramente fascista. Ed è proprio questo che non gli hanno mai perdonato, tanto da rinchiuderlo prima in una gabbia d’acciaio e poi in un manicomio. È proprio questo che rende Ezra Pound, spirito poetico e pratico insieme, un vero imperdonabile.

Il fatto è che il profeta di Hailey non avrebbe mai potuto sostenere la civiltà dell’Usura, ossia le centrali del capitalismo rapace e mortifero. Anche se questo voleva dire mettersi contro la sua patria d’origine, gli Stati Uniti d’America. Che non a caso gliela fecero pagare carissima.

Il «caso Pound», insomma, è tutto qui. La più grande colpa del massimo poeta del Novecento non è tanto la sua scelta politica, quanto piuttosto l’aver messo a nudo le contraddizioni e il male radicato dei «buoni». Gli stessi che oggi vorrebbero redimerlo per poterlo finalmente accogliere nel ventre di Usura. Eppure la sua poesia, difficile ma sublime, è ancora qui a parlarci: una poesia che è il più potente atto d’accusa mai scritto contro un sistema marcio che, lui sì, non merita alcun perdono.

Valerio Benedetti

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