Nell’anno che si è appena concluso, c’è stato un acceso dibattito sul modo in cui la grassezza è stata rappresentata nei film: la formidabile figura di Miss Trunchball è tornata sui nostri schermi con Emma Thompson e la sua pancia finta, e l’adattamento di Darren Aronofsky dell’opera teatrale di Samuel D. Hunter The Whale ha avuto per protagonista Brendan Fraser, con, avete indovinato, un costume ingrassante. Ma questo era un costume serio. Non come quello di Norbit. Né quello usato in Austin Powers. È una pancia finta indossata da Brendan Fraser che già di suo è grosso, perché, secondo Aronofsky, non esistono attori emotivamente capaci che pesino più di 150 chili.
Se da un lato The Whale fornisce sicuramente lo spunto di discussione più evidente per analizzare la rappresentazione delle persone grasse nei film, il mondo del cinema ha fornito anche altri spunti narrativi sullo stesso argomento (o invece non lo ha fatto) in 3000 anni di attesa e Gli spiriti dell’isola, ma il tema viene trattato anche in film che non lo affrontano in maniera diretta, come Glass Onion e Everything, All At Once.
Ripensando a questi grandi successi cinematografici degli ultimi 12 mesi, che deduzioni si possono fare riguardo al modo in cui le persone grasse vengono rappresentate nei film? Stiamo finalmente vedendo qualche segnale di cambiamento o c’è ancora molto da fare per mettere fine al modo disumanizzante con cui vengono portate sullo schermo?
Il “misery porn” di The Whale
Diversi organi di informazione e molti attivisti fat positive hanno consigliato esplicitamente di non andare a vedere The Whale. Il film è stato descritto in termini di “body horror” e “misery porn”, per la scelta di mostrare la vita di una persona grassa come risultato di un trauma profondo e anche come una morte lenta. La combinazione dei primi piani del costume ingrassante di Fraser che si muove nel minuscolo appartamento, lo svilimento del suo fisico da parte delle persone che ha vicino e la mancanza di empatia nei confronti del suo personaggio culminano dando vita al film più grassofobico dell’anno, se non di tutti i tempi.
La trama segue Charlie, un insegnante di inglese che lavora da casa e dà lezioni in remoto senza mai accendere la telecamera, che soffre di binge eating, mangiando in modo compulsivo, dopo la morte del suo amante. Depresso, Charlie si è gettato sul cibo per saziare la sua emotività e The Whale segue l’ultima settimana della sua vita, dopo un infarto avuto a causa dell’aumento di peso.
Il film non cerca di far entrare in empatia con gli orrori di un disturbo alimentare, ma cerca invece di scioccare il pubblico con la grassezza.
Molti personaggi nel corso della storia rimproverano a Charlie di “aver permesso a sé stesso” di arrivare fino a questo punto, e, essenzialmente, di uccidersi con il suo disturbo alimentare (leggi: la sua grassezza). Sua figlia adolescente, interpretata da Sadie Sink, che non ha mai perdonato il padre perché ha lasciato la madre per un uomo, gli vomita addosso insulti grassofobici e omofobi nel film, e lui, invece di reagire – con tristezza o rabbia comprensibili – incassa. Già questo di suo implica che Charlie creda che il suo destino – la morte – e questi commenti siano giusti. E la cosa triste è che molti, tra il pubblico, sarebbero d’accordo.
L’aspetto morale dell’essere grassi – e quindi, malsani – rappresenta un continuo problema per le persone grasse, non soltanto online, e quando film come quello di Aronofsky dipingono la grassezza come sintomo di depressione e impotenza, l’essere grasso si associa non solo a qualcosa di moralmente sbagliato, ma anche di spiritualmente sbagliato. In questo modo, The Whale continua a perpetuare l’idea che tutte le persone grasse siano automaticamente molto infelici e che, in qualche modo, meritino di esserlo, soltanto perché sono grasse.
Lasciando a malapena il minuscolo appartamento in cui vive Charlie, le angolazioni della macchina da presa enfatizzano le dimensioni di Charlie in modo da spettacolarizzare la sua mole: con panoramiche sui rotoli di carne, mostrando scene esplicite di Charlie che si masturba e inquadrature gratuite e viscerali di lui che mangia. Il film è persino girato in formato 4:3 per evidenziare ulteriormente quanto sia grosso il grasso artificiale di Fraser, disumanizzando il personaggio e rendendo difficile per il pubblico rapportarsi a Charlie. Questo film non cerca di far entrare in empatia con gli orrori di un disturbo alimentare, ma cerca invece di scioccare il pubblico con la grassezza, confermando pericolosi stereotipi su ciò che la grassezza rappresenta.
3000 anni di attesa e la spettacolarizzazione del grasso
Dal canto suo, 3000 anni di attesa ritrae in modo simile la grassezza come debolezza. In una piccola parte del film, durante una delle tante storie di contorno alla trama principale, ci si concentra su due fratelli. Uno di loro, Murad lV (Ogulcan Arman Uslu), è un dittatore acuto ma spaventoso, incline ad avere furie omicide. Suo fratello più giovane Ibrahim (Hugo Vella), invece, è presentato come un “dissoluto”, e questo viene esemplificato con la sua predilezione per la grassezza. Anche lui è grasso, e raramente lo si vede senza che sia circondato da uno stuolo di donne nude, grosse. Il narratore, interpretato da Idris Elba, spiega che nella ricerca del piacere di Ibrahim, più carne c’è, meglio è.
Le storie del fratello minore sono costellate di comicità fisica e giochi di parole sulle sue predilezioni sessuali e sul suo atteggiamento lassista riguardo a governare. Attenzione, spoiler: ma una volta che il fratello di Ibrahim muore, Ibrahim deve essere “trascinato sul trono”, secondo il narratore del film, e la sua debolezza viene ulteriormente messa al centro della narrazione.
Quando i corpi delle persone grasse non vengono usati per la comicità fisica al cinema, vengono usati per scioccare
Lui porta con sé il suo harem, salendo al potere e, anche in un contesto regale, queste donne vengono derise dal narratore e dalla trama. Sono disumanizzate perché la loro presenza è solo una rappresentazione della fissazione del re per la grassezza, e l’unica volta che una di loro parla è per arrabbiarsi con il narratore del film, il Genio interpretato da Idris Elba, e ci viene presentata come una donna grassa arrabbiata e stupida; in netto contrasto con le donne magre del film, che sono spesso descritte come belle, in modo molto accurato, e sagge dal Genio.
Questo personaggio, la “favorita” di Ibrahim, si chiama (che sorpresa) “Sugar Lump” (zolletta di zucchero) e viene anche mostrata come goffa, che è un altro degli stereotipi grassofobici. Sugar Lump (Anna Adams) scivola e cade – mentre è nuda – così rovinosamente da spaccare a metà la piastrella di pietra del pavimento. La scena viene mostrata a rallentatore, in modo mortificante, con l’intento esplicito di far ridere il pubblico del doloroso capitombolo di Sugar Lump.
Quando i corpi delle persone grasse non vengono usati per la comicità fisica nel cinema, vengono usati per scioccare. Non mi capitava di vedere così tante donne grasse e nude sullo schermo dalla sequenza di apertura di Animali notturni (2016) di Tom Ford e l’intento è esattamente lo stesso. Come in 3000 anni di attesa, queste donne non sono nominate, non parlano e non hanno alcuna personalità. Allo stesso modo in cui i personaggi plus size nell’introduzione di Animali notturni si esibiscono completamente nudi e vengono spettacolarizzati, anche le donne grasse di 3000 anni di attesa sono usate per scioccare e vengono private di ogni voce in capitolo, sia su un piano sessuale che altro.
Inoltre, il collegamento tra decadenza e grassezza è inquietante e far passare per dissolutezza l’attrazione di Ibrahim per le donne più grosse implica che ci debba essere qualcosa di sbagliato in chi desidera una persona grassa – di nuovo, un’implicita pecca morale – o perché i grassi siano visti in un’ottica sessuale o ritenuti desiderabili. Al tempo stesso, vedere queste donne usate/utilizzabili solo a fini sessuali aggiunge un elemento di iper-sessualizzazione, cosa che spesso accade con le donne grasse. Le donne grasse o sono riprovevoli o sono erotizzate e, nel caso di 3000 anni di attesa, entrambe le cose vengono utilizzate per sminuirci.
Un barlume di speranza da Gli spiriti dell’isola
Il 2022, però, non è stato solamente l’anno dei personaggi grassi monocordi. Gli spiriti dell’isola ci ha regalato un protagonista complesso e intrigante con Brendan Gleeson nei panni di Colm Doherty, un musicista su un’isola davanti alla costa dell’Irlanda, che un giorno decide di smettere di parlare al suo migliore amico Pádraic (Colin Farrell). Questo film d’epoca accenna a malapena al peso di Doherty – tranne che per qualche battuta sulla grassezza, pronunciata per rabbia, tipica del personaggio che la esprime – e si concentra invece sul racconto di una storia triste e acuta, di due persone di cui una delle due è grassa. La storia sarebbe esattamente la stessa anche se nessuno dei due fosse grasso o se lo fossero entrambi, o se fosse il personaggio interpretato da Farrell, Pàdraic, a essere grasso.
Per quanto ci sia estremo bisogno sullo schermo di storie che affrontino il tema della grassezza in modo credibile e coerente, c’è altrettanto bisogno di personaggi grassi in ruoli in cui il peso non è un fattore importante, come nel caso di Gli spiriti dell’isola, e, in forma minore, Everything, Everywhere, All At Once.
Jamie Lee Curtis prende posizione in Everything, Everywhere, All At Once
Potreste osservare che nessuno degli attori di Everything, Everywhere, All At Once è grasso. O magari essere caduti nel mio stesso malinteso, prima di scrivere questo articolo, cioè pensare che Jamie Lee Curtis abbia indossato un costume per sembrare grassa per il ruolo di Deirdre, la manager dell’Agenzia delle entrate che interpreta: Curtis ha invece richiesto specificamente di potersi “lasciare andare” e di non “nascondere” il vero aspetto del suo corpo. Un contrasto netto con il modo in cui appare il suo fisico in Halloween Ends, anche questo uscito nel 2022 e in cui la figura di Curtis è particolarmente snella e atletica.
In un post Instagram su Everything, Everywhere, All At Once in cui si vede il suo corpo, Curtis spiega: “Nel mondo, c’è un’industria — da miliardi, triliardi di dollari – che si occupa di nascondere gli attributi fisici dei nostri corpi. Correttori. Indumenti contenitivi. Filler. Ritocchini. Vestiti. Accessori per capelli. Prodotti per capelli. Tutto per nascondere chi siamo realmente. La mia indicazione a tutti è stata: non voglio che si nasconda nulla”.
Curtis continua, “Tiro in dentro la pancia da quando ho 11 anni, il momento in cui si cominciano a notare i ragazzi e il corpo, e i jeans sono attillatissimi. Ho deciso in modo estremamente consapevole di liberare e rilasciare ogni muscolo che avevo e che prima contraevo per nascondere la realtà. Era questo il mio obiettivo. E non mi sono mai sentita più libera, sotto l’aspetto creativo e fisico”.
Curtis è tutt’altro che grassa in questo personaggio e nella sua forma naturale, ma è interessante notare che quando un personaggio famoso sembra grasso e sullo schermo viene visto come tale, gli spettatori danno per scontato che indossi un travestimento di scena che gli aggiunge peso. Lo ha anche fatto presente il regista, Daniel Kwan, dicendo: “Tutti danno per scontato che la sua pancia nel film sia artificiale, ma invece è proprio la sua”.
Ma entrambi i casi – Jamie Lee Curtis che rifiuta gli indumenti modellanti e Brendan Gleeson che ottiene quella parte nel film – rappresentano solo un minimo progresso in un mondo in cui film grassofobici come The Whale ricevono standing ovation di 6 minuti.
Glass Onion ci ha deluso totalmente
I film di cui abbiamo parlato qui sopra si fanno a malapena notare tra le uscite dello scorso anno, e di tutti gli anni, in cui le persone grasse non sono minimamente rappresentate. Se è vero che ho adorato Glass Onion recentemente, verso la metà della serie mi ha colpito il fatto che tutti i personaggi del cast fossero invariabilmente magri e se ce n’era qualcuno più grosso, era perché aveva montagne di muscoli, non rotoli di grasso. Ognuno dei personaggi, come in Gli spiriti dell’isola, avrebbe potuto essere interpretato da un attore grasso – avremmo potuto avere un milionario grasso, un’influencer grassa, un insegnante grasso, una politica grassa e la storia sarebbe rimasta la stessa. Non è difficile immaginare questo universo cinematografico ospitare un cast composto da Queen Latifah, Jack Black, Jennifer Coolidge, Jonah Hill o Craig Robinson, e allora perché non è stato scelto nessuno tra questi numerosi attori comici più corpulenti?
Il problema della rappresentazione della grassezza al cinema nel 2022 è duplice: non siamo rappresentati sullo schermo, o quando lo siamo, è tutto condito di un tale odio e scherno per il nostro corpo che diventa preferibile l’invisibilità.
Che cosa si fa adesso? La risposta non è solo nelle stanze dei casting, ma richiede l’impiego di registi e scrittori grassi, l’adattamento di testi che abbiano un atteggiamento fat positive, oppure la scrittura di sceneggiature originali fat positive, per assicurare che quando le nostre storie vengono raccontate, vadano oltre i sogni dei feticisti o le tragedie perverse e voyeuristiche. Oltre ad assegnare ad attori grassi parti in cui il personaggio non deve essere per forza magro, il pubblico e gli attori grassi meritano ruoli di sostanza, che analizzino o amplifichino le nostre storie da un punto di vista egualitario.