19 Gen 2023 20:55 – di Valerio Falerni
È ancora un miraggio la completa verità sul caso Moro. Come si legge, infatti, nelle conclusioni cui è pervenuta la Commissione parlamentare Antimafia in una relazione approvata nella scorsa legislatura, ma resa nota oggi, «non si conosce ancora l’identità di tutti coloro che hanno sparato» nell’agguato di via Fani. Agguato in cui le Brigate Rosse avrebbero potuto contare sull’apporto di «terze forze» esterne al terrorismo. L’ipotesi è che ci sia stato «un saldo tramite tra la criminalità organizzata e la criminalità politica».
Lo dice la relazione dell’Antimafia della scorsa legislatura
La congettura nasce dalla constatazione che le Br non disponessero del necessario know how per condurre in porto operazione dalle «capacità strategiche elevate». E per le quali occorreva «una notevole preparazione militare», di cui i brigatisti, «per loro stessa ammissione, non disponevano». Probabile, quindi, che abbiano quindi chiesto ed ottenuto l’apporto, «con qualche contropartita», di soggetti che potevano assicurare la propria esperienza, «tanto nell’uso delle armi da fuoco in condizioni difficili, quanto nella gestione dei sequestri di persona».
Ritorna il nome di Giustino De Vuono
Qui l’Antimafia cala il nome di Giustino De Vuono, già accostato in passato al caso Moro. De Vuono, si legge nella relazione, «era legato alla criminalità organizzata». Ma, soprattutto, era responsabile del rapimento dell’ingegner Carlo Saronio, «maturato nell’ambito dell’Autonomia operaia». C’era anche lui in via Fani? «Non vi è allo stato alcuna evidenza certa di questa presenza», osserva l’Antimafia. Che però si sofferma sulla testimonianza resa da una testimone ai Carabinieri di Roma il 24 marzo del 1978. La donna, infatti, aveva notato «una somiglianza» tra il volto effigiato nell’identikit allegato al verbale e «l’uomo che in via Fani l’aveva minacciata con lo sguardo».
Il nuovo testimone e quella moto in Via Fani
Ma vi è anche un altro elemento in grado di accreditare il concorso di forze estranee alle Brigate Rosse nell’eccidio di via Fani. Si tratterebbe, in questo caso, di una moto di grossa cilindrata con due persone a bordo notata nella strada il giorno del rapimento di Moro e della massacro della sua scorta. «Da tale presenza – si legge ancora nella relazione dell’Antimafia – scaturiva evidentemente l’operatività sul luogo dell’agguato di un numero maggiore di soggetti rispetto a quelli indicati dai brigatisti che hanno descritto la dinamica». I terroristi, infatti, hanno sempre negato la presenza della moto. Ma la Commissione riferisce di aver rintracciato e sentito un testimone che quella mattina si trovava in via Fani. E che racconta di aver visto davanti a un bar che dà su via Stresa «una motocicletta, con la parte anteriore diretta verso via Fani, ferma sul suo cavalletto con al posto di guida un altro giovane vestito da aviere».