Un arzigogolato compromesso che difetta, forse, in coraggio e che potrebbe non essere sufficiente per contrastare alle prossime elezioni il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. I partiti turchi di opposizione hanno seriamente rischiato di non trovare la quadra su un candidato unitario, ma dopo le spaccature iniziali hanno individuato una formula: il 74enne Kemal Kilicdaroglu sarà nominato candidato presidente ed i rampanti sindaci di Istanbul e Ankara, che alla luce dell’alto gradimento soprattutto fra i più giovani nutrivano legittime ambizioni, saranno invece i suoi vice in caso di vittoria. Si chiude così un cerchio che nei giorni scorsi aveva provocato l’abbandono dal polo delle opposizioni dell’Iyi, la seconda forza dopo il Chp, la cui leader Meral Aksener è poi rientrata fra i ranghi. Inizialmente non aveva dato il via libera alla candidatura di Kilicdaroglu perché convinta che il primo cittadino di Istanbul, Ekrem Imamoglu, avesse più chanches di vittoria, al pari dell’altro sindaco Mansur Yavas.
Imamoglu, ribattezzato il sindaco anti-Erdogan, lo scorso dicembre era stato condannato per “insulti a pubblici ufficiali”, reo secondo un tribunale del paese di aver definito “idiota” l’alto consiglio elettorale che nel 2019 aveva annullato la sua vittoria alle amministrative. Quelle elezioni, per la cronaca, erano state ripetute ma Imamoglu le aveva vinte nuovamente. La sua vera colpa, piuttosto, è stata quella di essere stato il primo a sconfiggere il candidato erdoganiano sul Bosforo dopo 25 anni di amministrazione incontrastata. I sondaggi da tempo lo accreditano come il più titolato per sconfiggere l’attuale presidente turco alle elezioni del 14 maggio, ma non sono bastati ai suoi alleati per incoronarlo. Il paese, intanto, dopo lo shock del tragico terremoto di un mese fa, sembra non aver perso così troppa fiducia nel presidente in carica, che ha immediatamente annunciato di impegnarsi in prima persona per ricostruire tutte le case crollate. Un altro elemento che potrebbe giocare a favore del governo è il soccorso in arrivo dall’Arabia Saudita che depositerà 5 miliardi di dollari nei forzieri della Banca centrale di Turchia al fine di sostenere l’economia del Bosforo.
“Sostenere la crescita economica e sociale e anche lo sviluppo sostenibile della Turchia” sono tra gli obiettivi alla base dell’accordo, ha fatto sapere Riad. Il regno ha descritto la mossa come “una testimonianza della stretta cooperazione e dei legami storici tra il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica di Türkiye e il suo popolo fraterno”. Di fatto è una ciambella di salvataggio lanciata verso un’economia che presenta numeri allarmanti: la lira turca si è deprezzata del 30% rispetto al dollaro USA lo scorso anno e del 44% nel 2021. La scorsa estate, inoltre, le riserve valutarie nette turche sono scese ai minimi da almeno 20 anni, mentre sono diminuite di circa 8,5 miliardi di dollari da quando i devastanti terremoti hanno colpito la regione meridionale del paese all’inizio di febbraio, sisma che ha prodotto un danno complessivo di 34 milardi di dollari secondo le stime della Banca Mondiale. Ironia della sorte, nello stesso periodo (la prossima primavera) due rivali geopolitici come Turchia e Grecia andranno ad elezioni ed entrambi sono stati interessati da due eventi catastrofici, terremoto e disastro ferroviari, che potrebbero avere, gioco-forza, dei possibili riverberi sociali ed elettorali.
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