Roma, 23 mar – Dalla profonda provincia lombarda – è nato a Leggiuno nel 1944 – al titolo azzurro di campione d’Europa. In mezzo, una splendida isola mediterranea come terra d’adozione. In campo era Rombo di Tuono, bandiera del Cagliari scudettato (1969/70) e primatista di reti con la maglia della nazionale – trentacinque in quarantadue gare. A settantotto primavere Gigi Riva è ancora un’icona del pallone italiano. Poco avvezzo alle giocate nello stretto, sul rettangolo verde prediligeva esaltare velocità, forza e agonismo puntando direttamente la porta. Oggi, parlando di un calcio troppo diverso dal suo, continua ad andare al punto.
Intervistato dal Gazzettino – storico quotidiano del Triveneto – il presidente onorario dei rossoblù sostiene senza tanti giri di parole che l’eccessivo numero di allogeni presenti nel nostro calcio abbia rovinato la nazionale. «Non c’è più un italiano che abbia la possibilità di farsi notare, di mettersi in evidenza» aggiunge, soffermandosi sul fatto che le squadre di vertice presentino in rosa quasi esclusivamente attaccanti stranieri. Difficile dargli torto: con Immobile, Raspadori e Chiesa – che tra l’altro prima punta proprio non è – non riempiamo neanche le dita di una mano.
Gigi Riva assolve quindi Mancini («convoca quelli che ha a disposizione, sia chiaro, chiama i migliori che può») e sollecitato sul tempo che fu rimembra anni di abbondanza e «rivalità fortissima».
Glissando su una domanda piuttosto spinosa – il tema, più ampio della sola portata pedatoria, meriterebbe un approfondimento a parte – Rombo di Tuono ci fa quindi capire quanto non sia tanto un problema di natalità. Se dovessimo ragionare in tali termini, aggiunge chi scrive, non si spiegherebbero – ad esempio – le ottime prestazioni mondiali della vicina Croazia. Poco più di tre milioni e mezzo di abitanti (come la Toscana per intenderci), una medaglia d’argento a Russia 2018 e quella di bronzo in Qatar. Il tutto mentre noi ci accontentavamo di guardare la competizione iridata dal televisore.
Calciatori italiani, non ne fanno più o non vengono fatti giocare?
Parole che fanno il paio con quelle pronunciate poche ore prima dal nostro commissario tecnico. In conferenza stampa infatti Mancini si era già sfogato sulla mancanza di calciatori italiani. L’ex fantasista della Samp, pur centrando l’obiettivo – la penuria di convocabili – fa melina sulle cause. La soluzione infatti non può essere né un ritorno al calcio di strada, né, (sull’esempio di selezioni dalla storia decisamente meno blasonata della nostra) il massiccio utilizzo di «giocatori naturalizzati o di altre nazioni». E neanche – ma qui il non brillantissimo spunto è della rosea – la possibilità di poter convocare chiunque sia nato sul terreno italiano.
Infine, se la chiamata del diciassettenne Pafundi vuole più che altro essere un segnale alle società – il ragazzo in stagione ha collezionato nove minuti tra i grandi e solo otto gettoni in Primavera – dobbiamo riflettere su un dato. Per quanto freddo, qualcosa può dirci: 200 connazionali nel massimo campionato, 365 in cadetteria e più di 1.400 in terza serie. Non ne fanno più o non vengono fatti giocare dove magari meriterebbero? «I giovani italiani così non possono emergere», indovinate di chi è questa: se anche in campo Mancini amava filosofeggiare, Gigi Riva ha sempre guardato il bersaglio dritto negli occhi.
Leggi anche: Altro che il “calcio di strada”, all’Italia servono impianti all’avanguardia
Marco Battistini
Ti è piaciuto l’articolo?
Ogni riga che scriviamo è frutto dell’impegno e della passione di una testata che non ha né padrini né padroni.
Il Primato Nazionale è infatti una voce libera e indipendente. Ma libertà e indipendenza hanno un costo.
Aiutaci a proseguire il nostro lavoro attraverso un abbonamento o una donazione.