Giù dalla ciminiera non come segno di resa, bensì come atto di fiducia al governo. Ma non si pensi che abbia validità illimitata. Perché i quattro lavoratori della Portovesme srl che dall’alba di martedì avevano occupato la ciminiera dell’impianto “Kss” dello stabilimento produttore di piombo e zinco, sono pronti a nuove iniziative nel caso le interlocuzioni annunciate (nel corso di un incontro che si è svolto oggi, in video conferenza) dal ministero delle Imprese e del made in Italy per risolvere la vertenza dei costi energetici alle stelle non dovessero produrre in tempi brevi atti concreti. I lavoratori lo hanno detto a chiare lettere, questo pomeriggio, nell’annunciare la decisione di scendere dalla ciminiera dello stabilimento. A cento metri d’altezza sono rimasti quattro giorni di fila, sopportando tutti gli immaginabili disagi, compresi quelli di una condizione meteo che anche nella zona sud occidentale della Sardegna ha fatto precipitare le temperature e portato forti temporali. Giù dalla ciminiera, per ora, ma ben decisi a riprendere la protesta come nella migliore tradizione operai di questa parte dell’isola dove – da sempre – i lavoratori hanno messo in atto forme di lotta estreme che hanno scritto pagine di storia sindacale.
“La riunione ha posto le basi per un percorso che porti in tempi brevissimi a un incontro in presenza a Roma”, hanno detto i lavoratori i quali hanno fatto riferimento all’impegno assunto dalla sottosegretaria Fausta Bergamotto. Ovvero: “La prossima settimana il governo inizierà una serie di interlocuzioni interministeriali con la Regione, l’azienda e gli operatori del settore energetico, convocando la settimana successiva un tavolo di crisi in presenza”, come si legge nel verbale diffuso dopo l’incontro cui hanno partecipato anche amministratori regionali (tra i quali il presidente Christian Solinas), Confindustria, vertici della Portovesme srl e le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec, Cgil, Cisl, Uil e Rsu aziendale. Per il governo – che chiede anche all’azienda controllata dalla multinazionale svizzera Glencore di non interrompere la produzione – “è fondamentale individuare, insieme a Regione, azienda e operatori del settore energetico, una soluzione strutturale per il costo dell’energia della società Portovesme srl in modo che possa essere assicurata la continuità produttiva degli stabilimenti di Portovesme e San Gavino (a circa 70 chilometri, nel territorio del Medio Campidano) fino all’entrata in funzione del progetto di riconversione degli impianti”.
Insomma: il confronto è aperto, ma per individuare le soluzioni bisogna aspettare la prossima settimana. Nel frattempo i sindacati assicurano che l’attenzione resterà molto alta, proprio per evitare di ritrovarsi di nuovo di fronte all’ennesima sterile rassicurazione. Il territorio, e l’intera isola, non possono permetterlo. La clamorosa protesta di questi giorni – che vede in prima linea anche i lavoratori degli appalti cui sono arrivate le prime lettere di licenziamento, poi ritirate – è legata al caro energia che ha fatto schizzare il costo fino a 700 euro a megawattora. Insostenibile, soprattutto in considerazione del fatto che per una fabbrica energivora come la Portovesme l’energia è al pari di una materia prima. Proprio questo ha spinto l’azienda a dare il via a un processo di razionalizzazione con la fermata dell’80 per cento delle attività e l’avvio della cassa integrazione per i 1300 dipendenti diretti.
A portare solidarietà ai lavoratori, davanti ai cancelli della fabbrica, anche un nutrito gruppo di rappresentanti delle istituzioni, tra cui i parlamentari Francesca Ghirra e Nicola Fratoianni (Sinistra italiana). Non sono mancate le autorità ecclesiastiche, con in testa il cardinale Arrigo Miglio (amministratore della Diocesi di Iglesias) il quale ha tra l’altro evidenziato l’importanza della dignità del lavoro.
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