Genova. “Mamma muoio, non riesco più a respirare”. Così urlava alla mamma Camilla Scabini quella drammatica mattina del 14 agosto 2018 quando è rimasta completamente sepolta sotto le macerie della fabbrica del riciclo. La mamma non le aveva mai lasciato la mano quanto il ponte e il tetto della struttura erano crollati loro addosso.
“Ero nella fabbrica del riciclo con mia figlia per comprare delle cornici – ha raccontato questa mattina in aula al processo per il crollo del ponte Morandi Marina Guagliata – e quando abbiamo finito visto che pioveva fortissimo siamo rimaste lì aspettando che diminuisse un po’. Abbiamo sentito un boato, abbiamo alzato gli occhi sulle vetrate che affacciavano sul soffitto e abbiamo visto il ponte spezzarsi come un grissino”.
Non c’è stato il tempo di fuggire: “Ho solo abbracciato mia figlia nel tentativo di proteggerla poi è venuto giù tutto. Lei è rimasta completamente sepolta io avevo la testa fuori, le tenevo la mano e le mi diceva che non riusciva a respirare visto che aveva in bocca le macerie”.
“Sono rimasta sempre cosciente tutto il tempo – ha raccontato Camilla che un mese fa ha partorito una bimba – ero al buio con le macerie in bocca ma con una mano toccavo mia mamma. Poi è arrivato un ragazzo che è riuscito a liberarmi la faccia e ho iniziato a respirare meglio, poi più tardi sono arrivati i soccorsi”.
Per entrambe tante ossa rotte anche se per mamma Giovanna le conseguenze più pesanti sono state quelle psicologiche: “Sono ancora sotto psicofarmaci – racconta – soffro di ansia, insonnia e attacchi di panico”.
Per Camilla due mesi di ospedale e conseguenze fisiche permanenti: “Il dolore al bacino è rimasto e la gravidanza è stata molto dolorosa. Non ho potuto fare un parto naturale a causa di quelle lesioni e mi hanno detto che non potrò mai farlo”.