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Mario Dice: “Il mio uomo non dovrà mai scegliere un’identità di genere”

Mario Dice è il brand italiano fondato nel 2007 dall’omonimo stilista. Nato a Montesarchio, in provincia di Benevento in Campania, approda fin da giovanissimo nel mondo della moda, ha solo 14 anni quando il responsabile della produzione Calvin Klein vede i suoi lavori e riconosce in lui un magico talento creativo, proponendogli immediatamente di lavorare a New York. Nella grande mela Mario Dice ci rimarrà per sei anni, lavorando prima da Calvin Klein e poi da Donna Karan, ottenendo ottimi risultati, acquisendo sicurezza e aumentando le proprie capacità creative.

Dopo questi anni passati negli Stati Uniti arriva per Mario l’opportunità di tornare in Italia, prima Roma, dove lo stilista lavora nell’atelier delle Sorelle Fontana e dal 1999 nell’Atelier Gattinoni, dove ha la possibilità di nutrire la sua anima da couturier. Infine l’approdo nella capitale italiana della moda, Milano, dove colleziona esperienze lavorative decisamente importanti per alcuni dei grandi nomi della moda e del Made in Italy: Dolce&Gabbana e successivamente Philosophy, per poi approdare da Trussardi dove resterà per sette anni.

Nel 2020 il brand ha presentato un nuovo assetto finanziario: il designer e fondatore ha tenuto il 51%, dell’azienda, per riprenderne il controllo totale poi nel 2022, ridando nuova linfa al suo brand e al suo team. QF Lifestyle ha voluto incontrare uno dei più controversi stilisti italiani, per capire quale sia il suo pensiero e perché il suo atteggiamento spesso venga confuso come impertinenza e ribellione a un sistema per lui spesso ostile.

Mario, cosa è per te la moda e come ti vedi in questo settore in futuro?
Che dire, dopo 31 anni di carriera non so risponderti, per me è passione, dedizione, sacrifico e creatività. La moda è parte della mia vita, ma il mondo che circonda questo settore non mi convince e spesso non mi piace : troppa competizione, troppa falsità e in alcuni casi una mancanza di valori veri, Un mondo che mi ha deluso dal punto di vista umano. Trovo che vi sia poco spazio per i giovani, un sistema obsoleto che andrebbe rivisto e ridisegnato; sogno spazi dedicati ai giovani che vengano supportati nella produzione, almeno i primi anni della loro carriera, come succede in Inghilterra e Francia. Invece in Italia non è cosi, tutto troppo ancora indietro, ne apprezzo gli sforzi ma la strada giusta è ancora lontana. Non vedo il mio futuro in questo settore: mi spiego meglio, continuerò ancora a creare abiti secondo il mio stile e punto di vista, ma vorrei farlo per il cinema. Mi vedo come costumista, se non addirittura regista, come sto facendo adesso per 2 produzioni a Sofia in Bulgaria; il cinema è davvero creativo e dà la possibilità di riversare tutto il proprio talento al suo interno.

Tra le varie collaborazioni quale ha segnato in modo importante la tua crescita professionale?
Sono state tutte esperienze fondamentali, ognuna per qualcosa di diverso, ma la collaborazione che mi ha fatto crescere in modo esponenziale è stata da Trussardi, dove ho davvero dato il meglio della mia creatività pur non essendo il direttore creativo. Ma dal punto di vista umano non mi vergogno a dire che mi hanno deluso tutti, troppa ambiguità di sentimenti e troppo poco rispetto. Ho creato il mio brand anche per dare un significato ai rapporti umani, al di là della competizione che se è sana porta solo ad ottimi risultati. Per come la vedo io i miei dipendenti ed i collaboratori sono famiglia, per questo motivo sentivo la necessità e l’esigenza di ridare lustro e valore ai sentimenti e rispetto al capitale umano.

In una recente intervista hai dichiarato: “la moda è troppo emozionale per i social”, cosa intendevi?
I social non trasmettono le emozioni della carta stampata, tutto viene bruciato in 24h, la moda ha la grande capacità di catturare emozioni e stamparle nella memoria della gente ed i social in questo non hanno nulla da dare. Servono a vendere ma non contribuiscono a catturare l’Allure che questo segmento è capace di generare, il social è freddo e privo di sentimento.

Uno stilista che è stato per te un punto di riferimento?
Uno su tutti, Gianni Versace, un uomo che ha fatto della moda il suo punto di vista, oltre le regole e oltre l’aspetto commerciale. Un vero creativo controtendenza, contro tutto e tutti, ricordo che la sua prima collezione sconvolse il mondo intero, rifiutò certi stereotipi attirando su di sé le critiche di stampa e addetti ai lavori, ma continuò a dare voce al suo istinto creativo: questo per me significa essere creativi e lui lo è stato davvero.

Chi sono gli uomini (e le donne) che vestono Mario Dice?
Quando disegno l’uomo immagino l’armadio che vorrei avere in casa, disegno un mio potenziale guardaroba, quando disegno la donna invece immagino come vorrei vedere le donne. Sicuramente gli uomini e le donne Mario Dice sono forti, determinati/e, cosmopoliti/e capaci di essere trasgressivi/e ed eleganti con un tocco notevole di glamour e una consapevolezza di quello che indossano.

Nello specifico, cosa ti ispira nel disegnare l’uomo?
Grazie di questa domanda: “il mio uomo è un eterno Peter Pan dove l’essenza e il suo estratto sono un concentrato di una visione”. Quando parlo di essenza, intendo una riflessione profonda sulla mascolinità contemporanea e il suo più profondo significato. I capi che fanno parte delle mie collezioni maschili sono i blazer sartoriali, gli short, le camicie foulard, i cappotti oppure i capi spalla in pelle, le tute ed una selezione di accessori che esprimono contemporaneità, libertà e leggerezza. Il tutto contaminato da dettagli di couture. Ho un istinto di destrutturare e ricostruire secondo gesti sperimentali che aggiungono iconicità alle collezioni. Le vestibilità sono rilassate e fluide, le taglie unisex, i tessuti spaziano dal cashmere alla pelle. Ci tengo a sottolineare che il mio uomo non dovrà mai scegliere una identità di genere.

Chi ti ha fatto scoprire la tua predisposizione a disegnare collezioni uomo?
Il primo designer a farmi interrogare sull’idea di creazioni maschili è stato Romeo Gigli, insieme ad una rivista che si chiamava “Lui”, un magazine che affrontava in tempi non sospetti una nuova visione di mascolinità, vera avanguardia, un uomo meno macho e istituzionale.

Quali sono i tessuti con il quale ti senti più affezionato per la realizzazione dei tuoi capi
Sicuramente la pelle, che non è un tessuto, ma amo lavorare con questo elemento. La pelle è protettiva e resistente ed in questo momento della mia vita sento l’esigenza di sentirmi al sicuro e protetto; mi piace renderla morbida e leggera e cerco di adattarla ad ogni necessità, ma anche il cachemire e la seta sono tessuti per me imprescindibili.

Si parla tanto di sostenibilità, come affrontate in maison questo argomento?
Non credo nella sostenibilità, lo vedo come un fenomeno di moda, la solita ipocrisia per vendere. La moda non può essere sostenibile al 100%, basti pensare che per trasportare gli abiti si usano camion, al massimo si può cercare di educare al consumo moderato degli abiti e rivalutare il riciclo.

La tua collezione P/E 2023 a cosa si ispira?
Amo il bianco e i tessuti leggeri, la mia collezione è raffinata con prevalenza di bianco con alcune macchie di nero, adatta ad una donna decisa con una grande voglia di divertirsi, bisogna vederla ed indossarla.

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