Cipressa. Nuovo appuntamento con la storia locale a cura dello storico sanremese Andrea Gandolfo che questa volta racconterà la storia del paese di Cipressa, antico possedimento dei conti di Ventimiglia a partire dall’anno Mille e poi acquistato dai monaci dell’abbazia di Villaregia nel 1225.
“Situato in posizione panoramica sulla sommità della collina della Costa tra la punta di Santo Stefano e il capo di San Lorenzo, il paese conserva ancora oggi le tipiche caratteristiche di borgo ligure medievale con le case disposte a semicerchio allo scopo di difendersi reciprocamente dalle incursioni provenienti dal mare.
A differenza di altri paesi limitrofi dell’immediato entroterra come Castellaro e Pompeiana, Cipressa e il vicino comune di Costarainera possono inoltre usufruire di una minore dipendenza dai centri costieri per via del doppio collegamento rotabile, costituito dalla vecchia via carrozzabile che scende a San Lorenzo al Mare e dalla strada più recente che si innesta nella Via Aurelia in località Aregai. Tra i vari comuni della fascia costiera tra Arma di Taggia e San Lorenzo al Mare, Cipressa è quello più esteso per territorio, raggiungendo i 953 ettari di superficie complessiva.
Il territorio comunale non presenta peraltro una particolare omogeneità dal punto di vista geografico in quanto comprende due vallette tributarie del rio di San Lorenzo (la Fontanabuona a nord di Lingueglietta e la valle del rio Fossarelli appena a sud della suddetta frazione), l’avvallamento costiero su cui sorge Lingueglietta e un’area facente parte delle colline litoranee, che si trova incuneata tra il territorio di Santo Stefano al Mare e quello di Costaraneira.
Per quanto concerne l’origine del toponimo, una tradizione leggendaria la ricollega alla fondazione del borgo da parte di tre pastori fuggiti dall’isola di Cipro e approdati sulla spiaggia degli Aregai, l’antica sponda detta «degli Annegati», in un’epoca imprecisata; non potendo tuttavia suffragare una tale ipotesi, che non trova alcun riscontro documentale per la sua natura puramente leggendaria, sembra assai probabile che il toponimo Cipressa, citato in tutte le fonti medievali in questa forma, confermata anche dalla dizione locale Siprésa, derivi dal fitonimo latino cupressus nella sua variante volgare di cipressus, da cui l’italiano cipresso. Si rileva peraltro come il termine cipressus sia trattato in questo contesto come aggettivo e concordato con un sostantivo femminile (terra) o plurale neutro (loca), assumendo in tal modo valore di collettivo.
Le prime notizie storiche sicure relative al paese risalgono agli anni intorno al Mille, quando Cipressa, insieme a Terzorio, faceva parte dei possedimenti del conte di Ventimiglia, mentre la zona costiera, dove attualmente sono ubicati i centri di Santo Stefano al Mare e Riva Ligure, apparteneva al possesso monastico dei Benedettini di Santo Stefano di Genova, noto con il nome di Villa Regia, la cui prima attestazione pare risalga al 1029, data in cui venne redatto un atto che documenta per la prima volta il possedimento benedettino nella zona dell’antico Fundus Porcianus, che sarebbe stato oggetto pochi anni dopo della nota donazione di Adelaide di Susa.
Al tempo dei primi documenti storici riguardanti Cipressa, risalenti al 1153, il borgo era tuttavia già formato e godeva di autonomia religiosa (tanto da essere sede parrocchiale), per cui è possibile dedurre che il nucleo primitivo del paese si sia costituito nel periodo di rinascita civile e demografica successiva alla cacciata dei Saraceni alla fine del X secolo, anche se non si può del tutto escludere che il borgo possa essere di origine ancora più antica. La zona a nord di Cipressa apparteneva agli inizi dell’XI secolo ai marchesi di Clavesana, mentre il territorio comprendente Castellaro, Pompeiana e Lingueglietta (allora denominata Vinguilia o Linguilia) passò gradualmente sotto il dominio feudale di Anselmo de Quadraginta, che nel 1153 fu incaricato dal vescovo di Albenga dell’esazione delle decime a lui spettanti in tali borghi e villaggi, che erano situati nella zona più occidentale della diocesi.
Nel 1182 Anselmo e Bonifacio de Quadraginta chiesero quindi la sottomissione formale al Comune di Genova, che accettò lasciando ai due il dominio della zona, ma concedendo nello stesso tempo agli abitanti l’esenzione da alcuni dazi e, diritto molto rilevante, la facoltà di eleggere ogni anno dei propri consoli delegati all’amministrazione diretta del paese. All’inizio del Duecento Cipressa dipendeva ancora, almeno sotto il profilo nominale, dai conti di Ventimiglia, ma il 6 settembre 1215 il conte Oberto concesse agli uomini del borgo una franchigia, che di fatto li liberava dal vincolo di servitù e li rendeva proprietari dei beni che erano in loro possesso eccettuate le dovute ricognizioni.
Tale evidente manifestazione della decadenza dell’autorità feudale nel territorio cipressino si accompagnò alla contemporanea affermazione della potenza di Villaregia, i cui monaci, rappresentati dall’abate Raimondo, acquistarono il 27 ottobre 1225 dallo stesso Oberto la maggior parte del feudo, compreso perciò il territorio di Cipressa e Terzorio, con le terre piene e vuote, coltivate e incolte, i monti e le valli con le case, alberi, acque, con tutti i diritti annessi di caccia, pascolo, di far legna e di riscuotere le tasse, per la somma di cento lire genovesi, delle quali però Oberto ne incassò solo ottanta, lasciandone ai monaci venti «per la salvezza della sua anima».
Tali acquisti rientravano di fatto nella politica di espansione territoriale condotta dai Benedettini per ingrandire ulteriormente il loro possedimento di Villa Regia, che avevano ricevuto in donazione dalla contessa Adelaide, ultima rappresentante della Marca Arduinica, nella prima metà dell’XI secolo. L’operazione causò peraltro l’intervento deciso dei Quadraginta, signori di Linguilia, i quali, ritenuti lesi i loro diritti, non ne riconobbero la validità, appoggiati dalla popolazione di Lingueglietta, che si dimostrava così fedele ai suoi signori.
Si pervenne in tal modo ad un arbitrato tra i Benedettini e i signori di Linguilia, che portò il 18 aprile 1228 alla cessione del territorio di Cipressa e Terzorio a Bonifacio di Linguilia da parte dell’abate di Santo Stefano per la somma di 120 lire genovesi, con la sola esclusione dei diritti di pascolo e legnatico a favore degli abitanti di Villaregia. Il 5 aprile 1237 i monaci di Santo Stefano, attraverso il monaco Guglielmo Sacrista, riuscirono però a convincere il conte Bonifacio morente nel castello di Garlenda, insieme al figlio Anselmo, a rivendere loro la zona di Cipressa, Terzorio e Porzano, unitamente ad altri terreni non meglio precisati, ma certamente di notevoli dimensioni, acquistati da Pietro Gandolfo di Oneglia, per la somma di 300 lire genovesi tramite due atti, con il secondo dei quali i conti Bonifacio e Anselmo nominarono Guirardino di Stanzia e Bonaventura di Taggia loro procuratori per immettere il monaco Guglielmo Sacrista nel materiale possesso di Cipressa, Terzorio e loro dipendenze, liberando contestualmente gli abitanti di quei paesi dal giuramento di fedeltà, che fu trasferito al monastero di Santo Stefano.
L’8 aprile i due procuratori si recarono quindi a Cipressa, dove compirono le formalità richieste per immettere il monaco nel materiale possesso dei beni venduti. Nonostante un successivo atto di conferma firmato qualche mese dopo dalla vedova di Bonifacio Verde, i rapporti tra il monastero e i Linguilia continuarono ad essere particolarmente tesi, inducendo i monaci a sollecitare una bolla papale che confermasse i loro beni (poi concessa dal pontefice Innocenzo IV, il genovese Sinibaldo Fieschi, il 10 febbraio 1252), senza che ciò impedisse ulteriori scontri ed occupazioni abusive di terre nel 1253 e nel 1275 fino a quando non si pervenne ad un accordo definitivo sulle rispettive pertinenze territoriali tra i Benedettini, rappresentati dal cappellano del monastero di Santo Stefano di Genova prete Giovanni, e i Linguilia, tramite il loro delegato Guglielmo Bergonzo, che si promisero reciproca remissione delle accuse e dei processi subiti, oltre all’impegno a non molestarsi più tra loro, con pena di cento lire in caso di inadempienza, tramite atto stipulato il 26 febbraio 1286 dinanzi al podestà di Genova Enrico Petia, in qualità di giudice dei malefici, e al priore di San Matteo di Genova, nelle vesti di subdelegato papale. Intanto lo sviluppo di rapporti sempre più intensi e proficui a livello economico e sociale, favoriti dall’oculata amministrazione monastica, e il contemporaneo incremento della popolazione resero più urgenti l’adozione di nuove norme di diritto civile e penale al fine di dirimere meglio le controversie tra le persone e contribuire al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica nel principato benedettino.
Dopo l’approvazione degli Statuti per la comunità di Santo Stefano nel 1217, anche gli abitanti di Terzorio e Cipressa, entrati in un secondo tempo nel dominio di Villaregia, ebbero i propri Statuti, ma soltanto per la parte penale o «criminale» come si diceva allora, concessi dall’abate Federico del monastero di Santo Stefano di Genova nel 1277. Tali Statuti, che contenevano soltanto – come si è detto – norme penali in quanto quelle civili erano probabilmente regolate dal diritto romano e da disposizioni di natura consuetudinaria, furono emanati dall’abate benedettino con lo scopo evidente di rafforzare il dominio dei monaci sulla zona. Le norme stabilivano in particolare alcune sanzioni pecuniarie per coloro che si fossero resi responsabili di furti, incendi, guasti e danneggiamenti vari, mentre gli abitanti che si fossero macchiati di delitti molto gravi come omicidi, incesti, falsi giuramenti e adulteri sarebbero stati giudicati direttamente dal tribunale dell’abate di Santo Stefano.
Le notevoli difficoltà per i monaci di incassare le decime dagli abitanti di Villaregia provocarono tuttavia, a partire dall’inizio del XIV secolo, un sempre più massiccio indebitamento dei Benedettini con la famiglia Doria, il cui esponente Nicolò entrò in possesso dell’effettiva amministrazione dell’ampia tenuta nel 1335, stipulando un accordo ad hoc con i monaci di Santo Stefano in base al quale i Benedettini sarebbero potuti rientrare in possesso della tenuta previa restituzione del prestito, pari a 2500 lire genovesi entro nove anni o entro un ulteriore novennio. Alla scadenza del 1353, il mancato rimborso da parte dei monaci conferì a Nicolò Doria il diritto a diventare a tutti gli effetti l’unico signore di Villaregia, ma costui cedette tutti i suoi diritti sul principato alla Repubblica di Genova (nelle persone del Doge e del Consiglio dei Dodici), da cui ricevette la somma che gli spettava. Dopo l’annessione del feudo benedettino da parte di Genova, Cipressa sarebbe quindi rimasta sotto il dominio genovese dal 1353 alla fine del Settecento nella giurisdizione della Podesteria di Taggia.
La comunità cipressina fu inoltre legata in modo particolare a quelle di Santo Stefano e Terzorio, che il governo genovese amministrava unitariamente in quanto facenti parte dell’antico possedimento di Villaregia. Nei secoli successivi insorsero gravi controversie anche con la limitrofa comunità di Lingueglietta, tanto più che nel frattempo si era venuto formando – proprio sul confine tra i territori delle due comunità – un terzo centro abitato, Costa o Villa dei Raineri, l’attuale Costarainera, il cui nome appare documentato a partire dal 1467.
Una ulteriore disparità tra Cipressa e Lingueglietta pervenne dalle norme di legge in quanto la Repubblica lasciava una certa libertà alle singole comunità locali di legiferare in modo autonomo, salvo naturalmente di riservarsi il diritto di controllare che i testi di legge non contenessero norme in grado di danneggiare anche teoricamente Genova. Fu così che alle norme statutarie emanate nel 1434 per Lingueglietta si affiancarono i nuovi Statuti, civili e criminali, approvati nel 1475 per le comunità di Cipressa, Terzorio e Santo Stefano e costituiti da 75 articoli di diritto civile e 35 relativi al diritto penale, i quali sarebbero poi rimasti in vigore fino al 1803.
Nonostante queste differenze, la vita di Cipressa e Lingueglietta, come anche quella dei centri limitrofi, rimase per secoli legata ad aspetti unificanti, quali la comune appartenenza allo Stato genovese, le attività economiche pressoché identiche e i fatti normali della vita quotidiana, scandita dai tradizionali riti religiosi. Una fase particolarmente critica della storia cipressina fu comunque rappresentata dal periodo delle incursioni barbaresche nel corso del XVI secolo, quando il paese fu duramente provato dai violenti attacchi e saccheggi dei corsari turchi.
Il primo assalto degno di nota si verificò il 25 luglio 1546 da parte della squadra turchesca guidata dall’algerino Dragut, il quale, sbarcato con i suoi uomini prima a San Lorenzo e poi a Pian della Foce, l’odierna Santo Stefano al Mare, saccheggiò, incendiò e distrusse molte case catturando anche molte persone, sebbene le mura dei due paesi fossero ritenute solide. Dopo un’altra aggressione piratesca, subita da San Lorenzo nel 1556, si riprese in mano un progetto sulla costruzione di un bastione di difesa nella costa nei pressi di Santo Stefano redatto nel 1547, e si avviò la costruzione di un massiccio torrione, grazie anche all’aiuto finanziario di Cipressa e Terzorio, che venne poi terminato nel 1566.
Le poche fortificazioni esistenti non riuscivano comunque più a garantire la sicurezza degli abitanti dei centri costieri, tra i quali anche Cipressa e Lingueglietta, che subirono un’incursione, a quanto sembra poco proficua, il 31 maggio 1560, mentre nella notte tra il 19 e il 20 agosto 1562 un’altra massiccia incursione causò invece gravissimi danni a Cipressa, Terzorio e Pompeiana, dove i Barbareschi, guidati da Ulugh Alì, fecero oltre trecento prigionieri, di cui novanta a Terzorio e ottanta a Pompeiana, reimbarcandosi sulla spiaggia degli Aregai. Questi assalti indussero le autorità locali a portare avanti con particolare celerità la costruzione delle torri costiere, tra le quali quella degli Aregai, iniziata nel 1565, quando venne anche proposta l’erezione dell’attuale torre dei Marmi allo scopo di presidiare un altro luogo di sbarco abituale dei corsari, quella della Gallinara, ubicata sopra il paese di Cipressa al posto di una vedetta prevista in un primo tempo sul Monte Santo Stefano, mentre in quegli anni (ma non esiste peraltro alcuna documentazione storica al riguardo) dovette essere realizzata la trasformazione in fortezza della chiesa di San Pietro a Lingueglietta.
Nel corso della prima metà del Seicento la popolazione cipressina era discretamente consistente, tanto che, in base al catasto dei beni della comunità redatto nel 1642, erano presenti in paese 54 uomini tra i 17 e i 70 anni, mentre i capifamiglia ammontavano a 121, con una popolazione complessiva che si aggirava intorno ai 500 abitanti, cifra abbastanza verosimile se si considera soprattutto le falcidie dovute alle pestilenze avvenute nel 1530 e nel 1579. Nei secoli successivi la popolazione del borgo sarebbe comunque notevolmente aumentata con un incremento di ben 473 unità tra il 1760 e il 1860. Durante l’età moderna l’economia di Cipressa, come anche quella dei centri limitrofi, si basava prevalentemente sulla produzione olivicola, che non era però sufficiente a soddisfare il fabbisogno interno, mentre il vino era esportato.
Era inoltre assai sviluppata la coltura degli agrumi, che erano peraltro assai delicati per il loro carattere termofilo, tanto che, nella grande gelata del 1709, molti limoni e aranci, oltre a numerosi ulivi, morirono causando un grave nocumento all’economia locale. Frattanto, dopo la proclamazione della Repubblica Ligure nel 1797, anche Cipressa era entrata nell’orbita francese, passando quindi nel 1805 sotto l’Impero napoleonico con il resto della Liguria nell’ambito del Dipartimento di Montenotte, il cui prefetto Chabrol ci ha lasciato alcuni dati interessanti sul paese nei primi anni dell’Ottocento, quando il borgo contava 1006 abitanti, superando quindi di poco Santo Stefano, che era allora capoluogo dell’omonimo cantone (in francese Saint-Etienne), e produceva olio, un vino eccellente molti ortaggi e frutta e in particolare fichi.
Dopo la caduta di Napoleone è da segnalare la calorosissima accoglienza riservata dai Cipressini a papa Pio VII, che, nel viaggio di ritorno da Fontainebleau a Roma, passò sulla strada romana nel territorio di Cipressa il 13 febbraio 1814, impartendo l’apostolica benedizione alla folla acclamante convenuta per l’occasione nella chiesa di Santo Stefano. Annessa al Regno di Sardegna nel 1815 con il resto della Liguria, Cipressa entrò a far parte della Divisione di Nizza, e dopo la cessione di quest’ultima alla Francia nel 1860, passò sotto l’amministrazione della neocostituita Provincia di Porto Maurizio.
Superato quasi indenne il terremoto del 1887, che provocò soltanto lievi danni ad alcuni edifici pubblici e privati, per la cui riparazione il Comune ottenne un finanziamento statale di 3718 lire a fronte di ben 16.780 lire concesse a quindici privati, Cipressa ebbe diversi caduti nella prima guerra mondiale, mentre, nell’ambito della generale riorganizzazione amministrativa operata nel 1928 dal regime fascista, al Comune venne aggregato in qualità di frazione il centro di Lingueglietta, che fino a quella data era sempre stato autonomo da Cipressa, a cui appartengono anche le frazioni di Aregai e Piani dislocate lungo il litorale ai lati della Via Aurelia. Dopo l’annuncio dell’armistizio con gli Alleati, il paese fu coinvolto nella guerra tra partigiani e nazifascisti, che il 5 giugno 1944 incendiarono la sede comunale distruggendo l’antico archivio municipale, mentre l’8 agosto successivo quattro partigiani guidati dal comandante «Jacopo» uccisero due Tedeschi sulla via Aurelia nei pressi del borgo, dove si era frattanto costituito il CLN locale formato dal comunista Francesco Garibaldi, dal socialista Antonio Martini e dal democristiano Domenico Martini. L’11 novembre del ’44 i Tedeschi dislocarono un presidio in regione Piani, stabilendosi quindi il 7 dicembre successivo a Cipressa, dove sarebbero rimasti fino alla Liberazione.
Nel secondo dopoguerra si è verificato un notevole incremento delle costruzioni fuori del centro storico con ben 1096 nuove abitazioni censite nel 1991, in gran parte costituite da residenze secondarie, quasi tutte di proprietà. Il gruppo più rilevante di tali nuove abitazioni, soprattutto ville nella zona alta del paese, è oggi abitato da cittadini tedeschi, che hanno acquistato anche molte case vecchie nel centro storico, riattandole con gusto e abitandole pure al di fuori della stagione estiva, instaurando dei rapporti di buon vicinato con i residenti e tentando di inserirsi nella realtà locale, tanto da fondare persino un giornalino in lingua tedesca, intitolato «Cipressa». Il turismo tradizionale è invece piuttosto limitato potendo contare soltanto su un albergo situato lungo la Via Aurelia in località Piani, oltre ad un campeggio presso il mare, anch’esso in regione Piani, con accesso diretto dalla Via Aurelia.
Nei decenni del dopoguerra si è verificata inoltre una grande trasformazione agraria, con l’abbandono e l’abbattimento di molti uliveti e lo sviluppo della floricoltura, mentre la superficie coltivata registra una persistenza dei seminativi, generalmente adibiti alla floricoltura e per pochi ettari all’orticoltura, con un calo continuo delle colture legnose, sia per gli ulivi che per i vigneti, mentre si è avuto un aumento dei terreni destinati a prati e pascoli. Anche le colture floreali hanno subito notevoli modificazioni sia di natura qualitativa che quantitativa, mentre la fitta rete di condutture creata dal Consorzio irriguo e potabile dei comuni di Cipressa e Costarainera, ha consentito un sensibile incremento del terreno irrigabile, anche se i terreni veramente produttivi permangono assai limitati.
Nel trentennio tra il 1961 e il 1991 il numero degli agricoltori cipressini si è ridotto di circa la metà, dei quali buona parte sono di origine meridionale, immigrati dalla Calabria e dall’Abruzzo, mentre sono relativamente pochi gli addetti al settore secondario, ai quali si contrappongono 229 impiegati nel terziario, in gran parte alimentanti un notevole pendolarismo giornaliero soprattutto verso Imperia e Sanremo.
Il motivo della limitata consistenza del terziario è peraltro da ricercare nello scarso sviluppo del turismo, che negli ultimi anni ha visto la chiusura di due strutture alberghiere, mentre è in fase di avanzato progetto un nuovo insediamento turistico di qualità a nord della località Gallinaro su una superficie di quasi settanta ettari, dove dovrebbe sorgere un grande campo da golf e un albergo di ottanta camere e una serie di ville, facenti capo, per i servizi principali, quali portineria e ristorazione, alla struttura centrale. Per favorire gli oltre 1100 residenti e turisti l’Amministrazione comunale sta portando avanti diverse iniziative, quali la costruzione del nuovo campo sportivo e un centralissimo polo di aggregazione dotato di bar, centro ricreativo, biblioteca e sala polifunzionale ampia circa 200 metri quadrati.
Tra le recenti opere pubbliche realizzate si segnalano il nuovo acquedotto per la località Avreghi, l’adeguamento dell’accesso alla scuola materna, la creazione del depuratore intercomunale grazie anche ad un finanziamento regionale e la programmazione della ripavimentazione delle strade dei centri storici di Cipressa e Lingueglietta tramite il ripristino dei vecchi acciottolati e ammattonati tradizionali. Nel 1990 è nata inoltre l’associazione «Fare Insieme», che persegue lo scopo di incrementare il turismo attraverso l’organizzazione di varie manifestazioni”.