Il 16 dicembre scorso, nei pressi di Chiusa Sclafani, sono crollate alcune arcate dell’ex viadotto ferroviario sul fiume Sosio, lungo il tracciato della linea dismessa Palermo-Burgio. Un triste episodio di degrado ed abbandono, riferito da una stringata nota ANSA e seguito dalla più totale indifferenza. A quella delle istituzioni, piuttosto scontata, si è aggiunta non soltanto quella dei principali organi di informazione, ma anche quella delle tante associazioni di ferroamatori operanti sul territorio siciliano. Ha fatto eccezione soltanto l’Associazione Ferrovie Siciliane di Messina, che ha riferito e commentato il crollo in un articolo del suo sito www.ferroviesiciliane.it. Eppure esistono posti, in Italia, dove si guarda alle ferrovie come elementi di rilancio dell’economia locale, e non come vecchi arnesi di cui si stenta a capire l’importanza, abbandonandoli all’incuria ed alla rovina. Sulle Alpi si progettano, ormai da anni, nuove ferrovie, o si rimettono in esercizio le ferrovie dismesse. E’ di qualche giorno fa la notizia dell’ennesima iniziativa progettuale, che riguarda una ferrovia chiamata “metro” alpino, tra la val Formazza, in Piemonte, e la Vallemaggia, in Svizzera. Posti isolatissimi e poco abitati, situati in due stati diversi, che si intende unire per rilanciarne la vocazione turistica; tra le costose opere previste, una galleria lunga ben 5,8 km. Sempre nell’arco alpino, in territorio alto-atesino, la ferrovia della Val Venosta (Merano-Malles), già dismessa e rimessa in esercizio nel 2005, è un esempio di rinascita ferroviaria di straordinario interesse. Con i suoi 57 km su un territorio che conta meno d 50.000 abitanti, riesce a muovere 3 milioni di viaggiatori l’anno. I residenti nella Valle, dove l’occupazione è cresciuta del 25% da quando la ferrovia è ripartita, hanno praticamente rinunciato all’automobile. Il turismo, che si è fortemente incrementato, rappresenta solo un terzo del traffico in linea: il che dimostra che queste infrastrutture, anche se vengono concepite sull’onda della suggestione turistica, finiscono col diventare uno strumento di mobilità universale che rilancia in maniera formidabile lo sviluppo del territorio stesso.
Esempi che, purtroppo, stentano stranamente a fare proseliti altrove, nel Bel Paese. Dove, invece, si pensa al recupero delle ferrovie dismesse soltanto per farle percorrere da qualche treno storico ogni tanto, per il beneficio di pochi ferroamatori festanti, ma accollandone il costo anche a chi non impazzisce per vaporiere e vecchi vagoni arrugginiti: si tratta, infatti, di iniziative finanziate rigorosamente con denaro pubblico. Eppure il rilancio della ferrovia, anche in tratte ritenute (a torto) “secondarie” rappresenta la concretizzazione di quella programmazione europea che incoraggia, ovunque, lo sviluppo del trasporto su ferro. Anche con riferimento alle vecchie linee non più utilizzate: si pensi ai 3000 km di ferrovie dismesse che in Germania saranno riaperte nei prossimi anni ed utilizzate come vettore di mobilità sostenibile. O alle iniziative che, in Francia, si intraprendono per portare su ferro le merci, anche attraverso vecchie ferrovie abbandonate del Massiccio centrale. Dalle nostre parti si preferisce lo sventolìo di bandierine e la vaporiera una tantum. Lungi dal proporre il ripristino di tutte le vecchie ferrovie a scartamento ridotto, ci accontenteremmo, almeno, di seri progetti di fattibilità per la riapertura di alcune tratte all’esercizio commerciale, a partire dalle più promettenti. Per restare in Sicilia, ovvero nella regione che presenta il maggior numero di km di ferrovie dismesse in tutto il territorio nazionale, si pensi alla Alcantara-Randazzo, che correndo lungo una bellissima valle e toccando diversi centri abitati potrebbe, come la Val Venosta, diventare uno strumento di mobilità indispensabile per i residenti e per la penetrazione turistica in territori incontaminati ed ancora poco conosciuti. Un destino ben diverso da quello previsto dalla Legge per le “ferrovie turistiche” (Legge 128 del 2017) che anche per questa linea prevede soltanto l’esercizio riservato ai treni storici… Non prima di aver speso ingenti somme (pubbliche, ovviamente) per il suo ripristino.
Ma l’assenza di lungimiranza di chi gestisce i trasporti pubblici, in Italia, riguarda anche moltissime ferrovie definite a torto “secondarie” che, pur formalmente in esercizio, sono utilizzate poco e male, in barba alla tanto sbandierata sostenibilità dei trasporti. In Sicilia, abbiamo l‘esempio della Circumetnea, realizzata a scartamento ridotto a fine ‘800 lungo le pendici dell’Etna. Una ferrovia che presenta, nel contempo, una importantissima funzione di collegamento dei comuni dell’area metropolitana di Catania, al punto da essere frequentatissima da studenti e pendolari, ma anche una straordinaria attrattiva turistica. Purtroppo, la linea è fortemente sottoutilizzata: pochi treni al giorno e molti bus sostitutivi ne caratterizzano l’esercizio, anche laddove sono stati eseguiti lavori costosi ed ammirevoli di riammodernamento ed interramento (tratta Paternò-Adrano, con molte fermate in galleria in corrispondenza dei principali centri, come una vera metropolitana). Sulla tratta Randazzo-Riposto solo un paio di corse giornaliere su ferro. Nonostante le potenzialità turistiche, la linea è completamente chiusa la domenica. Non siamo ancora all’abbandono più totale, ma non vorremmo che ci si arrivasse nel giro di pochi anni.
E gli Enti locali? Cosa fanno, di fronte a questo andazzo, Comuni, Liberi Consorzi ed aree Metropolitane? Poco o nulla, purtroppo: attivi soltanto quando si paventa la chiusura delle ferrovie da cui sono serviti, difficilmente sono stati capaci di evitarlo. Così come non riescono a superare confini e divisioni, magari campanilistiche, per fare finalmente “gruppo” ed andare a bussare alle porte della Regione, competente sul tema del Trasporto Pubblico Locale ed ancora troppo indifferente al ruolo chiave della ferrovia. Alla quale riserva annualmente un quarto delle risorse spese dalla Lombardia sul proprio territorio. E che dedica, nell’epoca in cui si registra la massima sensibilità di sempre alle problematiche ambientali, ben altre attenzioni ai trasporti su gomma. Insomma, se gli esempi che abbiamo visto in nord Italia ed all’estero ci confermano che il futuro è dei trasporti su ferro, prendiamo tristemente atto che, in Sicilia, il trasporto pubblico è gestito ancora come negli anni ’70 del secolo scorso. Lasciando andare in malora le vecchie ferrovie dismesse ed ignorando l’importanza di quelle in esercizio. Quando arriverà, da queste parti, il XXI secolo?