«Per la prima volta nella storia Genova supera 2 milioni di presenze di turisti in un anno. Numeri che ci riempiono di orgoglio e che dimostrano che la nostra città è sempre più viva e attrattiva per i visitatori italiani e stranieri. Un boom di presenze concluso con un Capodanno da tutto esaurito nei nostri hotel». Lo ha annunciato nei giorni scorsi il sindaco di Genova, Marco Bucci. Del resto la città aveva registrato il tutto esaurito nelle sue strutture ricettive anche nel ponte dell’Immacolata, e nella settimana di Ferragosto, secondo i dati dell’assessore comunale al Turismo, Alessandra Bianchi, la presenza media di turisti che avevano pernottato nel capoluogo ligure aveva toccato la punta del 92,6% della disponibilità contro l’89,2 del 2021 e del 2019, risultati che già parevano imbattibili. Nella giornata di Ferragosto i musei civici hanno superato le 2.000 presenze, raggiungendo quota 10 mila nell’intera settimana. E dagli Iat risulta un incremento soprattutto dei turisti stranieri. Un turismo in crescita, destagionalizzato, internazionale e in larga misura connesso alle attrattive artistiche e culturali della città. Un settore che ormai costituisce una voce importante nel fatturato cittadino: due milioni di di presenze movimentano un indotto non irrilevante. E che ha iniziato la sua crescita una trentina di anni fa.
A Genova fino agli inizi degli anni Novanta si veniva per lavoro, soprattutto per incontri nelle sedi dei colossi industriali – che nel corso degli anni Settanta e Ottanta sono andati in crisi e hanno ridotto le loro attività – per visitare il Nautico e per andare in riviera, fermandosi all’ombra della Lanterna il meno possibile. Il tempo passato a Genova era tempo sottratto alla vacanza. A innescare il processo che ha portato ai numeri di questi anni e che, con le grandi opere in corso e in progettazione sembra destinato a crescere, è stata l’esposizione del 1992 “Cristoforo Colombo, la nave il mare”.
Per realizzarla ci sono voluti un’idea forte, una visione della città di lungo periodo e la vivacità culturale di un gruppo di giovani, e meno giovani, dirigenti politici. In una Genova che pure si stava dimostrando statica e retriva, incapace di governare il processo di cambiamento profondo subito dal mondo industriale internazionale (il censimento industriale del 1981 rileva 92.841 occupati nel settore manifatturiero in provincia di Genova; nel 1991 se ne contano 59.102) e di reggere la concorrenza dei porti del Nord Europa. Roberto D’Alessandro, nel 1984 messo a capo del Consorzio autonomo del porto da Bettino Craxi, per introdurre la logica della privatizzazione in banchina (continuata poi e completata negli anni Novanta), dovette scontrarsi con i portuali.
Con l’industria e il porto in crisi, chi era alla guida della città – politici, imprenditori e sindacati – non sembrava alla ricerca di altre risorse. Fulvio Cerofolini, socialista, sindaco dal 1975 al 1985, a proposito dell’ipotesi di costruire un parco Disneyland a Genova, commentò: «Non siamo una città di camerieri». Era il 1984 e una delegazione di dirigenti americani di Disneyland stava effettuando un sopralluogo in Val Polcevera accompagnata da Riccardo Garrone, presidente della Erg. Gli americani cercavano una località su cui costruire il primo parco Disneyland in Europa. Genova era una delle opzioni. Il parco fu poi costruito a una trentina di chilometri da Parigi, a Marne-la-Vallée. Inaugurato il 10 aprile 1992, fin da subito si dimostrò una forte attrazione turistica, con un flusso annuo sui 10 milioni di ingressi. E la risposta di Cerofolini è rimasta famosa come esempio di scarsa lungimiranza.
In realtà Cerofolini giocò un ruolo importante nella ideazione dell’expo e forse la sua frase sdegnosa esprimeva non tanto un rifiuto del turismo in sé ma la prospettiva di sostituire l’attività manifatturiera con il turismo di massa. L’allora sindaco di Genova era comprensibilmente orgoglioso della tradizione industriale della sua città per la quale non avrà auspicato un futuro come quello di Venezia. Il settore turistico è poco propenso all’innovazione e i suoi servizi sono a basso valore aggiunto. Secondo l’Istat le attività relative ai servizi di alloggio e di ristorazione producevano nel 2016 valore aggiunto per addetto pari a circa 22.600 euro all’anno. Si tratta di uno dei valori più bassi tra i servizi – in cui la media è di oltre 40 mila euro all’anno – e arriva a un terzo del valore medio dell’industria. Minor valore aggiunto vuol dire, tra l’altro, salari più bassi. Il turismo, in sostanza, rappresenta una buona opportunità di sviluppo per quei territori che riescono a diversificare le loro strategie di crescita e, se dotati di insediamenti industriali, a promuovere la transizione verso attività ad alto valore aggiunto, verso una produzione manufatturiera altamente qualificata e servizi di fascia alta.
Del resto sotto una coltre plumbea qualcosa si muoveva. Negli anni Settanta Antonio Canepa, segretario del Psi ligure, aveva fondato a Genova il Circolo Turati, vivace promotore di iniziative insolite per il clima culturale cittadino. Fermenti di innovazione agivano nel mondo cattolico, nelle Acli in particolare ma non solo, nel Pci, e in alcune punte avanzate del complesso industriale. E la classe dirigente genovese seppe cogliere al volo un’occasione storica.
Negli anni Ottanta, in Spagna e in Italia e anche oltre Atlantico si pensava a come celebrare il 1992, cinquecentenario della scoperta dell’America. L’esposizione universale toccava a Siviglia, poiché il viaggio di Colombo fu promosso dai reali di Spagna, Ferdinando e Isabella di Castiglia, ma Genova, secondo la maggior parte degli storici, era la città natale del grande navigatore. E quindi poteva aspirare a un suo evento colombiano. D’altra parte in quegli anni circolava in Europa e negli Usa l’idea di recuperare e riqualificare parti di città cadute in disuso o sottoutilizzate per la loro funzione originaria. Lo aveva fatto, per esempio, Baltimora, destinando a scopi turistici il suo porto antico, non più utilizzato. Influente sostenitore della genovesità di Cristoforo Colombo, e quindi di un ruolo della Superba nelle celebrazioni del cinquecentenario era il big democristiano, genovese, Paolo Emilio Taviani. E l’idea di realizzare un evento riqualificando spazi sottoutilizzati piacque al grande storico Fernand Braudel, in contatto con il vicesindaco di Genova, Giorgio Doria (Pci), docente di Storia Moderna alla Facoltà di Economia. Anche Gianni Baget Bozzo, il sacerdote politologo socialista, poi berlusconiano, vedeva con favore l’iniziativa.
E così, racconta Claudio Burlando, allora uno dei giovani dirigenti del Pci (nato nel 1954, negli anni di gestazione dell’expo consigliere comunale e poi vicesindaco, in seguito sindaco, deputato, ministro e, dal 2005 al 2015, presidente della Regione), «La giunta comunale nel 1983, il sindaco era Cerofolini, chiese a Renzo Piano di elaborare un progetto di riqualificazione di un’area in vista di un evento espositivo. L’idea era quella di investire risorse in qualcosa che non fosse effimero. L’architetto si mise al lavoro e a fine anno presentò tre diverse ipotesi. Toccava a noi scegliere. Una prevedeva di fare l’expo alla Fiera del Mare, che c’era già e sarebbe stata ammodernata. Un’altra era relativa all’ex conceria Bocciardo. La terza ci sembrò molto più suggestiva, riguardava il porto antico, che veniva ancora utilizzato – ai Magazzini del Cotone, per esempio, il cotone c’era ancora, non molto ma c’era – però aveva perso gran parte dei traffici. Il porto commerciale ormai era a Sampierdarena e si lavorava già al terminal di Pra’. La discussione si concluse con un voto unanime della giunta in favore del porto antico. Piano andò avanti con il lavoro e individuò il perimetro da destinare all’expo, ridotto rispetto a quello che poi è stato stabilito, non comprendeva Ponte Spinola, dove poi sarebbe sorto l’Acquario. Su Ponte Spinola Gadolla intendeva costruire un albergo. Il progetto fu quindi inviato a Parigi, al Bureau International des Expositions».
E il Bie lo approvò proprio perché fu chiaro che Siviglia e Genova erano due expo diverse. Quella spagnola era universale, quella genovese era specializzata e puntava al recupero del centro storico con il 90% del budget destinato a opere permanenti.
«La cosa – prosegue Burlando – si era messa in moto ma intanto alcuni di noi, dei giovani del Pci, tra cui Silvio Ferrari, Carlo Repetti, Vittorio Grattarola, pensavano che per garantire il riuso del porto antico e trovargli una nuova funzione occorresse qualcosa di specifico. C’era l’esempio di Baltimora da studiare ma allora non era facile andare in trasferta, i viaggi aerei costavano caro e noi avevamo pochi soldi. Finché, nel 1987, conferiscono a Taviani l’ennesima laurea honoris causa, a Columbus, nell’Ohio. Era previsto che alla cerimonia andasse una delegazione genovese, con un esponente della giunta e uno del consiglio. Per la giunta fu incaricato Fabio Morchio, vicesindaco. Cesare Campart – repubblicano, sindaco dal 1985 al 1990 – con cui avevo un ottimo rapporto, mi disse: “Vorrei che ci andassi anche tu, in rappresentanza del consiglio, sei giovane, parli inglese”. Gli risposi: “molto volentieri ma vorrei chiederti una cosa. Ho un’idea che però vorrei andare a verificare a Baltimora, aggiungiamo un paio di giorni alla trasferta”. Gli spiegai perché e Campart fu d’accordo».
Burlando aveva letto del riuso del porto antico di Baltimora. Nella città americana, prosegue, «mi colpisce l’acquario che era stato costruito nel porto antico e penso che un’opera del genere a Genova diventerebbe una grande attrazione turistica. Chiedo di conoscere Peter Chermayeff, l’architetto che aveva progettato quell’acquario e avrebbe poi progettato gli interni del nostro, nella comunità italiana c’è uno che si chiama Elia Manetta che poi avrebbe lavorato all’expo genovese e che mi mette in contatto con Chermayeff. Poco tempo dopo noi del gruppo consiliare del Pci, con l’appoggio anche di Pietro Gambolato, insieme all’Istituto Gramsci organizziamo una presentazione del progetto in Comune. Io lo illustro. In consiglio comunale presento un ordine del giorno che individua il posto in cui costruire l’acquario, Ponte Spinola, mi obiettano che Ponte Spinola non è nel perimetro espositivo. Rispondo: mettiamocelo. Il consiglio comunale approva all’unanimità la proposta, di cui sono primo firmatario, andiamo a Parigi e chiediamo al Bie di poter modificare il perimetro. Gadolla se la prende molto a male ma il Bie approva la modifica. Siamo nell’88, i lavori al Porto Antico sarebbero iniziati nella primavera dell’89».
L’esposizione internazionale specializzata “Cristoforo Colombo, la nave e il mare” fu inaugurata il 15 maggio 1992 e chiuse il 15 ottobre dello stesso anno. L’area del porto antico, prima invisibile, separata dalla città dalla cinta doganale, mostrò tutto il suo fascino. Piano aveva aveva liberato gli antichi edifici dalle aggiunte posteriori, fatto costruire il Bigo, l’ascensore panoramico e la Piazza Delle Feste e uno splendido centro congressi nella parte terminale dei Magazzini del Cotone. L’acquario mostrò subito la sua forza attrattiva, anche se per l’expo erano pronte solo le sei vasche oceaniche. Era già il più grande acquario d’Europa, e uno dei primi al mondo di nuova concezione. Una volta le vasche di queste strutture avevano una sorta di finestre di vetro da cui guardare l’interno, quello genovese ha vasche con una parete trasparente, tanto che allo spettatore sembra di essere immerso nel mondo acquatico. E oggi è l’acquario genovese è quello con la più ricca esposizione di biodiversità acquatica in Europa. Il percorso espositivo mostra oltre 70 ambienti e circa 12.000 esemplari di 600 specie, provenienti da tutti i mari del mondo.
La riqualificazione del porto antico era riuscita in pieno e si intuiva che, finita l’expo e tolte le cancellate, l’area sarebbe stata un quartiere di pregio, un nuovo pezzo di città, costato allo Stato 600 miliardi lire, attrattivo per i genovesi e per gli eventuali visitatori provenienti da fuori. Ma l’expo dal punto di vista turistico-commerciale fu un flop.
Erano stati previsti all’inizio 3 milioni di visitatori, alla fine della manifestazione l’amministratore delegato Renato Salvatori ne dichiarò un milione e settecentomila, pochi giorni dopo si scoprì che i biglietti venduti o dati in omaggio erano stati soltanto poco più di 800 mila. A denunciare la manipolazione dei dati diffusi dal vertice dell’ente organizzatore era stata la sua stessa ragioneria. Del resto i tre anni e mezzo di preparazione dell’evento erano trascorsi tra lotte feroci tra i partiti. L’ente organizzatore, Colombo ’92, era governato da un cda in cui sedevano rappresentanti del Comune, della Provincia, della Regione, della Camera di commercio e del Cap. Un parlamentino, dove i partiti agivano con le stessa logica che regolava i loro rapporti nel Parlamento di Roma. Guardando all’evento a distanza di anni sembra un miracolo che l’expo sia stata realizzata. La cosiddetta prima Repubblica, del resto, stava per crollare. La questione dei biglietti provocò uno scandalo e il sindaco di Genova Romano Merlo, che era presidente dell’Ente Colombo, dopo una agitatissima seduta in consiglio comunale, dovette dimettersi da entrambi gli incarichi.
Anche nel 1993, l’anno dopo l’esposizione, il turismo era ancora lontano da costituire una risorsa apprezzabile nel capoluogo ligure. Nella pubblicazione “Turismo a Genova” del “Sistema nazionale Comune di Genova” si legge: “In questi anni Genova ha vissuto il momento peggiore (1993), ma ha iniziato un netto recupero della sua attrattività turistica, invertendo una tendenza negativa che durava dagli anni ‘60. Tra il 1991 e il 2001, infatti, gli arrivi sono aumentati del 30,5%, e le presenze dell’1,8%. Particolarmente forte è l’incremento degli stranieri (+66,5% di arrivi e +11,0% di presenze). L’andamento degli arrivi è costantemente positivo a partire dal 1993 per entrambe le componenti italiana e straniera (a eccezione di un lieve calo per gli stranieri nel 2001), mentre le presenze presentano valori più instabili. È evidente il picco raggiunto dal movimento turistico nel 1992 in occasione delle Colombiane a cui però segue una flessione degli arrivi e delle presenze”.
Il processo era partito, l’Acquario, gestito dal 1993 da società che facevano capo alla famiglia Costa e dal 2002 dalla Costa Edutainment spa, impegnata a sviluppare l’intrattenimento educativo, con solo un anno di attività a pieno regime si piazzò al quarto posto tra le mete italiane più visitate, dopo la Galleria degli Uffizi, i Musei Vaticani e gli scavi di Pompei. Nel 1994 fu costituita la Porto Antico di Genova spa, operativa dal gennaio 1995, che ebbe dal Comune di Genova in concessione fino al 2050 tutti gli spazi dell’area del Porto Antico.
Fu un avvio travagliato, ma effettivo, di un processo che ha portato ai due milioni di presenze annunciati da Bucci. Allo sviluppo del turismo contribuirono anche, in misura notevole, altri eventi, come la riqualificazione del Palazzo Ducale e alcune sue importanti mostre, la valorizzazione dei Rolli, Genova capitale della cultura nel 2004.
L’expo del ’92 non era stata concepita soltanto come spinta per l’attività turistica ma, in primo luogo, come volano per un recupero del vasto, bellissimo e degradato centro storico genovese. Già la nuova sede della facoltà di Architettura, trasferita da Albaro sulla collina di Castello, il cuore più antico di Genova, aveva indotto un processo di riqualificazione dell’area. Al nuovo edificio, costruito sulle rovine di antichi monasteri, intorno al nucleo altomedievale del Palazzo del Vescovo, si era affiancato il recupero del monastero di San Silvestro. Il nuovo complesso, affascinante di per sé, frequentato dalla popolazione studentesca, aveva incoraggiato i proprietari degli edifici dell’area circostante a investire per la riqualificarli. Lo stesso processo si pensava di avviare con la rigenerazione del porto antico. Il che è, in parte, avvenuto. Nella zona del Molo vecchio e in quella antistante l’area expo il cambiamento è stato immediato, nel Molo Vecchio i valori immobiliari erano aumentati già prima dell’inizio dell’expo. Anche la pedonalizzazione di via San Lorenzo ha contribuito a formare un asse di sviluppo che parte dal porto antico, arriva a Palazzo Ducale e ai Musei di Strada Nuova. In pratica la parte occidentale del centro storica è in larga misura riqualificata, e senza quel fenomeno di gentrificazione che ha fatto diventare invivibili i centro storici di mete turistiche come Venezia o Firenze, svuotate dei residenti, non in grado di pagare l’affitto di abitazioni trasformate dai proprietari in remunerative case-vacanza, e privi di negozi in cui fare compere, poiché i pubblici esercizi o hanno prezzi inaccessibili ai residenti o vendono souvenir. In questa parte del centro storico genovese non mancano timori per il futuro e lamentele per la fastiodisità della movida ma convivono vecchi residenti, immigrati e turisti, panetterie, fruttivendoli, negozi di alimentari di ogni tipo, artigiani e supermercati. E ristorantini e trattorie non sono affatto banali e seriali, accanto a pizzerie e hamburgherie troviamo offerte di cucina tradizionale e di invenzione e anche “etnica”. Peccato che una norma comunale abbia proibito l’apertura nel centro storico di nuovo locali di cucina straniera, di fatto favorendo i pochi che già erano insediati e limitando il ventaglio delle offerte di cucina esotica, ma anche così l’area è attraente. Da riqualificare resta la parte orientale, soprattutto quella che inizia da Porta dei Vacca. Il processo di rinnovamento, per ora, va nella direttrice opposta, verso Levante.
Nel 2019 la Porto Antico di Genova spa (socio di maggioranza il Comune di Genova) ha acquisito dalla Fiera di Genova spa in liquidazione i rami di azienda “fiere” e “darsena”, ampliando così ulteriormente le aree e le attività di propria competenza. L’idea di fondo è quella di estendere l’attrattività del Porto Antico alla zona Fiera, costituendo un unico complesso, che a sua volta si inserisce nel ridisegno del waterfront cittadino di Levante. Era una visione già presente quando era partito il progetto expo e che ora sta trovando attuazione, e in futuro potrebbe estendersi, gradualmente, lungo il tratto costiero fino a Boccadasse, che non è certo in condizioni di degrado ma può essere migliorato nel lato a mare.
Il 20 gennaio 2021 è partito il cantiere per la riqualificazione del Palasport per conto di CdS Holding spa. Il progetto di Obr e Starching prevede di confermare la vocazione sportiva del Palasport, realizzando un’arena di circa 5 mila metri quadrati polifunzionale e modellabile per cambiare configurazione e ospitare anche eventi come i concerti. Attorno all’arena ci sarà spazio per un distretto commerciale tematico con al centro i temi del turismo, dello sport, della produzione locale e della nautica. In via di realizzazione sono il canale e il canaletto dietro al Palasport. Come richiesto da Piano le banchine saranno animate dalla presenza di locali destinati a connettivo urbano (negozietti, ristoranti, attività nautiche e così via), in parte di realizzazione pubblica e in parte privata. Su entrambi i lati dei canali sono previste ampie banchine pedonali a uso pubblico, che avranno una larghezza compresa tra i 6 e i 18 metri lungo il canale principale e pari a 3 metri lungo il canaletto. Nel frattempo si realizzerà l’accesso all’area fieristica grazie alla nuova viabilità prevista dal progetto. Nelle aree esterne sorgerà, sempre a carico di CdS Holding, una parte del grande parco urbano che proseguirà negli altri lotti del waterfront, con nuovi filari di alberi ad alto fusto e un tratto della pista ciclabile che attraverserà tutta l’area.
Il Parco della Foce, ha annunciato di recente il sindaco Bucci, sarà un polmone verde in continuità con gli elementi naturali della riqualificazione del fronte a mare, per complessivi 65.000 metri quadrati e oltre 4.000 alberi.
La zona di piazzale Kennedy diventerà un parcheggio sotterraneo per oltre mille posti, a piano unico, la parte in superficie sarà un parco, con piante, prati, possibilità di passeggiare e andare in bicicletta. Sarà la congiunzione tra l’area del Porto Antico e del waterfront con quella di corso Italia e Boccadasse. Il parcheggio, con il parco soprastante, verrà realizzato in project financing e sarà pronto tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. Posti auto, dunque, a pagamento e zona verde totalmente pubblica. Davanti alla nuova spiaggia è prevista anche la realizzazione di una diga soffolta per evitare l’erosione marina in caso di mareggiate.
Nel 2023 dovrebbe terminare la costruzione degli edifici e nel 2024 quella della Casa della Vela. Il Comune prevede anche, nella stessa zona, una base per i circoli nautici genovesi e un polo industriale-artigianale legato al mondo della vela. I circoli nautici, di velisti, pescatori, subacquei, tutte le attività degli appassionati degli sport collegati al mare avranno la loro base definitiva nel canaletto. Il vicesindaco Pietro Piciocchi ha garantito che non andranno a spendere più di quello che spendono oggi. La Casa della Vela, un progetto che sta molto a cuore a Piano, sarà una costruzione di altissimo livello qualitativo, ideata all’insegna dei valori di sostenibilità e rispetto dell’ambiente, sorgerà sulla banchina a Sud del Palasport, sul molo. Dovremo capire chi la gestirà, comunque è destinata a ospitare eventi, convegni, tutto ciò che valorizza lo sport della vela. L’obiettivo è anche quello di farle esercitare una forza attrattiva importante. Mentre nei circoli andranno le persone associate, la Casa della Vela dovrà essere un circolo culturale- sportivo per tutti gli amanti della vela che verranno anche da fuori Genova. Sarà una sorta di quartier generale dove si potranno svolgere corsi di formazione, eventi. L’obiettivo è quello di realizzare il più importante polo della nautica da diporto del Mediterraneo e uno attrattore di sport nautici. La Casa della Vela dovrà avvicinare i ragazzi al mondo del mare e della nautica Laboratori artigianali e piccole imprese legati alla nautica saranno situati sulla banchina a monte del Jean Nouvel.
Il successo di queste realizzazioni in termini di fruizione da parte dei genovesi, dei turisti e, si spera, dei nuovi residenti, e come leva per la valorizzazione del patrimonio immobiliare genovese, dipende in misura determinante dalla realizzazione del Terzo Valico e dal riassetto del Nodo ferroviario di Genova. È quanto risulta dalle dichiarazioni di Enrico Cestari, responsabile di Gabetti Home Value (divisione cantieristica del gruppo Gabetti) e Cristiano Tommasini, Relationship manager Liguria Gruppo Gabetti, intervistati un anno fa da Liguria Business Journal (vedi qui). Secondo Tommasini «Genova diventerà una sorta di satellite naturale di Milano, ritornando a occupare il ruolo che aveva al tempo del Triangolo Industriale. Ecco che allora le caratteristiche uniche che ha la città, il clima temperato, il mare, la qualità della vita, potranno fare la differenza nella scelta del posto in cui vivere, soprattutto in un’epoca dove ormai lo smart working consente di lavorare in qualsiasi posto».
E secondo lo studio “La rigenerazione del litorale di Genova” condotto a cura di Scenari Immobiliari per il Comune di Genova e presentato di recente a Santa Margherita Ligure, il percorso di rigenerazione urbanistica del litorale intrapreso da Genova porterà nel corso dei prossimi cinque anni a una rivalutazione del 16% del patrimonio immobiliare della città, con conseguente crescita del v20% del valore medio delle case che passerà dagli attuali 1.750 euro al metro quadrato a più di 2.100 euro. Considerando la piena attuazione delle ipotesi, si stima che il valore immobiliare della città di Genova possa aumentare, nel corso dei prossimi 15 anni.
Intanto l’ottobre scorso Gabetti aveva già venduto, si presume a prezzi di fascia alta, tutti i 240 appartamenti in costruzione tra il Padiglione Blu e il Palasport.
Il volano messo a punto nel corso degli anni Ottanta, combinato con nuovo fattori propulsivi, continua a produrre energia.