Roma, 20 mar – Era il 28 febbraio scorso quando il ministro Francesco Lollobrigida, durante un punto stampa a margine dei suoi incontri a Bruxelles, annunciava: “Noi quest’anno lavoreremo per fa entrare legalmente quasi 500.000 immigrati legali”. Qualche giorno dopo, è arrivata una parziale conferma dal Consiglio dei ministri. Il governo sta pianificando un aumento del decreto flussi: si parla di almeno 100mila immigrati regolari all’anno per tre anni. Nel decreto-legge del 10 marzo, si legge che le quote saranno definite in base alla “analisi del fabbisogno del mercato del lavoro effettuata dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali previo confronto con le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale”. Il punto è capire se in Italia c’è veramente la necessità di introdurre nel mercato del lavoro un numero così cospicuo di immigrati. Secondo l’Istat, sono quasi 15 milioni le persone disoccupate e inattive in Italia. I numeri sono ancora più preoccupanti se si considera la fascia della popolazione più giovane: si attesta al 23 per cento la disoccupazione giovanile. Ricordiamo che l’Istat considera come “occupato” chi ha tra i 15 e gli 89 anni ha dichiarato di aver svolto almeno un’ora di lavoro retribuita nella settimana in cui sono stati raccolti i dati. Molti poi gli stranieri disoccupati residenti in Italia

Gli stranieri disoccupati residenti in Italia

Il primo marzo scorso, è stato presentato il “Ventottesimo rapporto sulle migrazioni 2022” della Fondazione Ismu, in cui si parla anche della disoccupazione degli stranieri in Italia. Nel 2021, gli stranieri inoccupati dell’Unione europea, residenti in Italia, erano circa 450mila, tra disoccupati e inattivi, su una di popolazione in età da lavoro di poco più di un milione di persone, ovvero il 39 per cento. Gli stranieri extracomunitari inoccupati erano circa 1,2 milioni, tra disoccupati e inattivi, su una popolazione in età da lavoro di 2,7 milioni di persone, ovvero il 43 per cento.

Quindi, erano ben 1,6 milioni i cittadini europei ed extracomunitari senza un’occupazione. L’incidenza degli stranieri in cerca di occupazione sul totale è ben del 16 per cento. Nel 2021, il tasso di disoccupazione degli stranieri è salito al 14,5 per cento contro il 9,1 per cento degli italiani.

Il rapporto dell’Ismu spiega che “i comportamenti e le performance occupazionali dei migranti variano a seconda del Paese di origine”. Ad esempio, il tasso di occupazione dei tunisini è del 65,7 per cento mentre quello dei moldavi è dell’84,8 per cento. Il tasso di disoccupazione delle donne tunisine è del 44,6 per cento, delle donne bengalesi del 53,6 per cento e di quelle egiziane del 57,5 per cento.

L’Italia esporta lavoratori qualificati e importa manodopera non qualificata

Mentre, negli ultimi anni, i governi hanno continuato ad aumentare le quote dei decreti flussi, passate da 30mila immigrati extracomunitari nel 2020 a quasi 83mila nel 2022, cresce sempre di più il numero di italiani che emigrano all’estero, dai 3,1 milioni nel 2006 agli oltre 5,8 milioni nel 2022, di cui 1,2 milioni sono giovani tra i 18 e i 34 anni. Salari bassi e precarizzazione dei contratti hanno spinto decine di migliaia di ragazzi italiani a cercare un’occupazione più redditizia e sicura in altri Paesi. Al contrario, gli extracomunitari arrivati in Italia, come spiega il rapporto della Fondazione Ismu, presentano profili poco qualificati e, quindi, sono disposti a intraprendere lavori con bassa retribuzione e contratti di breve durata/intermittenti: “La quota di immigrati da impiegare nelle professioni maggiormente qualificate è sempre la metà di quella relativa alla componente italiana”. Addirittura, per la maggior parte delle assunzioni di immigrati (4 su 10) non è richiesto alcun titolo di studio, solo nel 27 per cento dei casi è attribuita importanza alla conoscenza della lingua italiana e solo nel 12 per cento alle competenze tecnologiche e digitali. Nel 61 per cento dei casi, agli immigrati è richiesta flessibilità e capacità di adattamento.

Il 30 per cento delle famiglie di soli stranieri è in povertà assoluta

Elevati tassi di disoccupazione, bassi tassi di attività femminile e basse retribuzioni hanno contribuito a un progressivo e costante impoverimento degli immigrati residenti in Italia. Nel 2021, il 30,6 per cento delle famiglie di soli stranieri era in povertà assoluta, quasi quattro punti percentuali in più rispetto al dato rilevato dall’Istat nel 2020 e oltre cinque volte quello delle famiglie di soli italiani, ferme al già allarmante 5,7 per cento. Queste statistiche diventano ancora più drammatiche quando nelle famiglie sono presenti figli minorenni: il 13 per cento dei nuclei familiari italiani con tre o più figli è in povertà assoluta contro il 52,1 per cento delle famiglie straniere. Invece, la povertà relativa coinvolge il 9,2 per cento delle famiglie di soli italiani, il 30,5 per cento delle famiglie miste e ben il 32,2 per cento delle famiglie di soli stranieri.

Anche i dati della Caritas documentano come numericamente gli immigrati in Italia siano sempre più in condizioni di povertà: nel 2020, erano il 52 per cento del totale gli stranieri che si rivolgevano ai centri Caritas, il 55 per cento nel 2021.

Immigrati utilizzati per abbassare il costo del lavoro

Infine, nel rapporto della Fondazione Ismu, si legge: “Il lavoro degli immigrati, quand’anche cattivo e sotto pagato, ‘paga’ per i migranti neo-arrivati, concentrati sull’obiettivo di massimizzare i propri guadagni (non fosse altro che per adempiere al mandato che pesa sulle loro teste, specie quando per migrare hanno contratto un debito con la famiglia allargata), capaci di contenere al minimo le spese per il proprio mantenimento, dotati di estrema flessibilità e in grado di cumulare più redditi anche di tipo occasionale, comprimendo i tempi di riposo e giostrando tra un lavoro principale e altri accessori”. In altre parole, il mercato del lavoro in Italia premia gli immigrati appena arrivati che sono disposti a lavorare anche sottopagati e senza alcuna tutela, ovvero una sorta schiavismo 2.0. Ciò produce un abbassamento generale del costo del lavoro che si evidenzia soprattutto nella filiera agroalimentare a sua volta strozzata dalla grande distribuzione e dalle politiche dell’Unione Europea.

Perché aumentare le quote del decreto flussi con un tasso di disoccupazione degli stranieri così elevato?

Dai dati pubblicati dalla Fondazione Ismu, si comprende che una cospicua percentuale degli immigrati in Italia non rappresentano una risorsa per il Paese. Da una parte, le famiglie straniere in povertà assoluta o relativa sono ulteriore carico sul già traballante welfare italiano, dall’altra parte, gli immigrati appena arrivati contribuiscono ad abbassare il costo del lavoro con una sorta di concorrenza sleale. Quindi, per questi motivi e per l’alto tasso di disoccupazione della popolazione straniera, non è comprensibile la ragione che ha spinto il governo Meloni ad annunciare un aumento delle quote del decreto flussi, peraltro, già incrementate cospicuamente negli ultimi tre anni.

Francesca Totolo

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