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Fuga dei camici bianchi: le dimensioni e le cause del fenomeno

Medico, cinquantenne, insoddisfatto del proprio lavoro e della propria vita privata, disposto addirittura a mandare tutto all’aria e cambiare vita e lavoro: è questo l’identikit di una buona parte dei camici bianchi italiani, in crisi con la professione e disposti addirittura ad espatriare per superare questo stato di alienazione. Un fenomeno (quasi) di massa che sta diventando ogni giorno più evidente e che ha una causa ben precisa: la scarsa spesa dell’Italia in ambito sanitario acuita anche dalle nuove esigenze e dai carichi di lavoro imposti dal Covid. E’ quanto emerge dalla survey condotta da Anaao Assomed cui hanno risposto 2130 tra medici e dirigenti sanitari.

Più della metà dei sanitari di dichiara insoddisfatto

Più della metà (56,1%) tra medici e dirigenti sanitari è insoddisfatta delle condizioni del proprio lavoro e 1 su 4 (26,1%) anche della qualità della propria vita di relazione o familiare. Un sintomo inequivocabile di quanto il lavoro ospedaliero sia divenuto causa di sofferenza e di alienazione.

Una insoddisfazione che cresce con l’aumentare della anzianità di servizio e delle responsabilità, tanto che i giovani medici in formazione (24,6%) si dichiarano meno insoddisfatti dei colleghi di età più avanzata (36,5%), tra i quali si raggiunge l’apice nella fascia di età tra i 45 e i 55 anni.

Guardando alla collocazione geografica, non sorprende che la crisi della professione sia più sentita al Sud rispetto al Nord: si va dal 53,6% del nord, passando al 56,3% del Centro per finire al Sud e Isole con ben il 64,2% di insoddisfatti. Ma il dato appare talmente diffuso da configurare quasi una patologia endemica con la quale convivere e per la quale non esiste vaccino o terapia. Vi sono comunque zone dove si sta verificando una vera e propria desertificazione.

Cosa chiedono i medici per dirsi soddisfatti

Fra le richieste dei medici il primo posto è occupato da incrementi delle retribuzioni con il 63,9% delle risposte e da una maggiore disponibilità di tempo con il 55,2%, con una prevalenza del fattore tempo per le donne (39,5%) sugli uomini (47,56%) che invece mirano, in maggiore misura, a retribuzioni più adeguate.

Per gli over 65 (15,8%) è prioritaria anche una maggiore sicurezza rispetto ai colleghi più giovani (6,3%). Al contrario, l’esigenza dei giovani di una maggior disponibilità di tempo per la famiglia e il tempo libero è più alta (37,9 %) rispetto ai colleghi con maggior anzianità di servizio (27,6%).

La domanda finale sul futuro sollecita risposte inquietanti: il 36%, ovvero quasi 1 su 3 appare disposto a cambiare il lavoro attuale; il 20% intervistati si dichiara ancora indeciso, segno del fatto che almeno una volta si è interrogato sul futuro della professione e sul suo ruolo all’interno del sistema.

Spesa sanitaria fra le più basse in Europa

Oggi in Italia si spende solo il 6.1% del PIL per la sanità, la cifra più bassa tra i paesi del G7, ben al di sotto della media europea pari all’11,3%, mentre il costo della sanità privata è pari al 2,3%, poco sopra la media europea.

Per recuperare il gap accumulato con le altre nazioni occorrerebbe un incremento annuo del Fondo sanitario di 10 miliardi di euro. Ma pesano anche questioni di organizzazione e scelte politiche, a favore della medicina di prossimità, che oggi appare umiliata proprio come il lavoro ospedaliero (leggi questo articolo sulla carenza di medici di base).

Per Serve una profonda riprogrammazione strategica delle politiche sanitarie, un cambio di paradigma che realizzi un netto investimento sul lavoro professionale, che nella sanità pubblica rappresenta il capitale più prezioso. Altrimenti anche il Pnrr rappresenterà la ennesima occasione perduta.

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