Dopo settimane di scontri e frizioni sia sul fronte interno (con le differenti vedute tra le forze di centrodestra e i partiti di opposizione), sia nel rapporto con l’Unione europea, il governo presieduto da Giorgia Meloni può esultare per il rinvio del voto del Parlamento di Strasburgo in merito al nuovo regolamento sulle auto a diesel e benzina. “Un successo italiano” rivendicano da Palazzo Chigi, con la stessa presidente del Consiglio che in un post pubblicato sulle sue pagine social ha lodato la fermezza dei nostri rappresentanti presso le istituzioni comunitarie.
“È giusto puntare sul traguardo delle zero emissioni di CO2, da raggiungere nel minor tempo possibile” ha scritto in un messaggio su Facebook la leader di Fratelli d’Italia, specificando però che “dev’essere lasciata la libertà ai singoli Stati membri di percorrere la strada che reputano più efficace e sostenibile”. La scelta di fissare la scadenza al 2035 per lo stop alla produzione di nuove vetture con motore endotermico viene vista come assolutamente sbagliata da parte di tutti i componenti della maggioranza, con la Lega che da settimane ha assunto una posizione di duro contrasto nei confronti dei vertici europei.
Nuovo regolamento sulle auto in Europa, chi si oppone oltre all’Italia
Il motivo principale che ha spinto la Commissione europea di Ursula von der Leyen a rinviare “a data da destinarsi” il voto sul provvedimento non è tanto il malumore esternato dalle forze politiche del nostro Paese (a braccetto con quelle di Polonia e Bulgaria, che hanno annunciato la loro contrarietà), quanto il tentennamento della Germania. Tutti sanno che il ruolo determinante per arrivare ad una possibile svolta è quello di Berlino, anche solo per una questione di numeri. Infatti, la decisione della Svezia (che detiene la presidenza semestrale dell’Europa fino a giugno) di rimandare la consultazione tra i parlamentari è dettata dall’incertezza sull’esito che potrebbe uscirne.
Secondo quanto previsto dalle procedure, per l’approvazione di una nuova legge comunitaria occorre che si esprimano a favore almeno 15 Paesi membri che rappresentino almeno il 65% dell’intera popolazione del Vecchio Continente. Se è vero che i tedeschi non hanno ancora sciolto la riserva, un loro eventuale voto negativo (o una loro astensione, come sembrava probabile in quelle ore concitate) avrebbe fatto naufragare la stretta sulle auto alimentate a diesel e benzina. Per questo a Bruxelles si è deciso di prendere tempo, in attesa che il governo di Olaf Scholz avanzi proposte concrete tali da poter concedere la propria approvazione.
Stretta sulle auto a diesel e benzina: quanti lavoratori rischiano il licenziamento in Italia
Nel frattempo in Italia sale la preoccupazione dei comparti professionali direttamente coinvolti nella partita. A partire dalle sigle di categoria, con i presidenti di Anfia (l’Associazione nazionale della filiera dell’industria automobilistica) e Federmeccanica che chiedono di non trascurare le industrie e le imprese che ad oggi garantiscono un posto di lavoro stabile e una retribuzione all’altezza a centinaia di migliaia di cittadini. E non potrebbe essere altrimenti, dato che delle 128mila auto immatricolate nel nostro Paese a gennaio 2023, la maggior parte sono ancora alimentate a benzina (26,5%), a diesel (19%) o con un sistema ibrido (10%).
Proprio in queste ore sono stati resi noti anche i dati rielaborati da Clepa, l’associazione europea della componentistica relativa al settore dell’automotive. Con il nuovo regolamento, l’istituto ha stimato una perdita di posti di lavoro in Europa entro il 2035 pari a 275mila unità: di questi lavoratori, ben 70mila sarebbero in Italia. Molto allarmante anche il dato che fa riferimento nello specifico alle realtà che praticano l’assemblaggio dei pezzi: solamente in questo comparto industriale, nel nostro Paese rischiano di rimanere disoccupati oltre 14mila dipendenti, dato che i pezzi per la produzione di auto elettriche vengono realizzati e messi in commercio quasi esclusivamente dalla Cina.